la Repubblica, 22 dicembre 2014
Francis Scott Fitzgerald non aveva la virilità esasperata di Hemingway, ma nel settembre 1913, superato l’esame di ammissione all’università di Princeton, scrive alla famiglia: «Spedire subito scarpe da football». Voleva entrare a fare parte della squadra dei Tigers. Ci provò ad essere come i suoi eroi, fu un fallimento
Rassegnatevi. Lo scrittore biondo, delicato, molto dandy, amava lo sport. E i corpi splendidi di chi lo pratica. I suoi belli e dannati nuotano e si tuffano non solo nell’alcol. Francis Scott Fitzgerald non aveva la virilità esasperata di Hemingway, ma nel settembre 1913, superato l’esame di ammissione all’università di Princeton, scrive alla famiglia: «Spedire subito scarpe da football». Sì lo smidollato voleva entrare a fare parte della squadra dei Tigers. Ci provò ad essere come i suoi eroi. Voleva anche lui correre e fare touchdown. Si mise i paraspalle e la divisa nera con le maniche a righe bianche (lo testimonia anche la foto di copertina) e andò all’allenamento. Ma dopo tre giorni l’allenatore gli consigliò di lasciare perdere. Mancava di coordinazione e di robustezza. Era fuori. Fuori dai giochi. E così si chiama il suo libro di racconti della grazia, dell’agonismo e del corpo (66thand2nd). Si sa che Fitzgerald e anche Zelda non erano proprio il prototipo dei campioni, forti e sicuri, ma quando si trattava di scrivere tutto cambiava. Scott capì che raccontare lo sport significava parlare dell’America, del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, della grazia della giovinezza, della lotta tra i sessi, di una società classista dove i ricchi hanno il tempo per prendersi cura di se stessi. Era però un mondo che lo aveva allontanato, che lo teneva a distanza di sicurezza. e lui non ci provò mai più a diventare un atleta famoso. Anche perché gli sportivi ricercano la perfezione mentre Scott vezzeggiava le sue contraddizioni. La sua frase preferita era: «Stare a letto e non dormire. Volere qualcuno che non viene, cercare di piacere e non riuscirci». Non è un caso che tra Fitzgerald e Hemingway il dissidio oltre che sulla rivalità nacque dal fatto che Scott combinò un guaio imperdonabile: arbitrò un incontro di boxe dell’amico, ma prese male il tempo, fece durare più a lungo il round e Ernest finì disteso per terra. Come spiega Sara Antonelli nella postfazione è qui, in questa antologia, come ne Il Grande Gatsby, che Fitzgerald oppone la forza di volontà e il talento alle barriere invisibili dell’appartenenza sociale. Ed è qui che racconta come ci si sente ad essere esclusi e come si impara a giocare da soli.
Ma quando si riprendeva dalla notti alcoliche Fitzgerald per prima cosa chiedeva al suo editore: puoi mandarmi il risultato delle partite Harvard-Princeton? Il football non scomparve mai dal suo orizzonte. Quando morì, a 44 anni, a Los Angeles nel 1940, stava leggendo un articolo sui suoi adorati Tigers. La sua salute era minata, non il suo talento. E visto che non era un semplice tifoso accanto alla cronaca annotò: «Prosa fantastica».