il Giornale, 19 dicembre 2014
«Meglio gli incentivi fiscali». I produttori di cinema, e non solo, spiegano perché li preferiscono ai contributi diretti
Più incentivi fiscali e meno contributi diretti? La proposta racchiusa in queste nostre pagine l’altro ieri, per quanto riguarda il sostegno statale alla produzione cinematografica, trova d’accordo i principali protagonisti del cinema italiano e attraversa gli schieramenti. Tanto che è in linea anche con la politica culturale che il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Dario Franceschini, sta portando avanti da mesi come con l’ormai famoso decreto «Art Bonus» che prevede uno sconto fiscale per chi aiuta la cultura con le proprie donazioni. Si apre così un nuovo futuro per le specifiche aree di intervento (protezione e restauro di beni culturali pubblici, sostegno di musei, biblioteche, parchi archeologici) che però quasi ogni giorno si ampliano, da ieri vale anche per le fondazioni lirico-sinfoniche e i teatri di tradizione in vista di un loro ulteriore allargamento nel provvedimento sullo spettacolo e sull’audiovisivo collegato alla legge di stabilità 2015.
In questo discorso rientra idealmente anche il cinema che già da diversi anni usufruisce degli incentivi fiscali, giunti a 72 milioni di euro di tax credit in varie forme, che stanno progressivamente sostituendo i contributi diretti decisi dalla commissione preposta alla Direzione generale per il cinema, scesi a poco meno di 20 milioni che, in verità, ormai rappresentano poca cosa rispetto ai circa 300 milioni dei costi di produzione di tutti i film italiani. «L’idea di trasformare il contributo in una maggiore leva fiscale mi trova d’accordo – spiega Riccardo Tozzi presidente dell’Anica (la Confindustria del cinema) e storico produttore di Cattleya – anche perché introducendo un certo automatismo tutto diventa più trasparente e meno questionabile visto che non occorre una commissione per decidere a chi e quanti fondi destinare». «In linea teorica – aggiunge Paolo Del Brocco amministratore delegato di Rai Cinema – è una proposta giusta ma bisogna verificare con attenzione come si possa applicare alla nostra struttura produttiva soprattutto per i primi tempi». È d’accordo su tutta la linea anche Giampaolo Letta, vicepresidente e amministratore delegato di Medusa: «L’idea di allargare la percentuale del tax credit è molto interessante perché, rispondendo a rigidi criteri e procedure, rassicura che sono soldi pubblici spesi bene su un produttore solido».
Nessuno pensa che lo Stato debba venir meno al sostegno alla produzione del cinema. Anche perché sono ormai lontani gli anni dei finanziamenti incontrollati spazzati via dalla riforma Urbani: «A guardare oggi noi stessi quel periodo non ci crediamo – sorride Tozzi – anche se per fortuna da lì sono usciti anche i nomi di Moretti, Archibugi, Risi». Concorda Letta: «Nel passato ci sono stati tanti esempi negativi ma imparando dagli errori si è creato un sistema sano che può aprire certamente a un regime misto improntato agli incentivi fiscali per certi progetti». Sullo sfondo attuale però c’è sempre lo spettro del pubblico calante soprattutto su alcune proposte cinematografiche. Robert Bernocchi sul suo sito ha pubblicato un’analisi sugli incassi del cinema d’autore in Italia (calcolato sui film con più di 100mila euro) che da circa 40 milioni del 2013 sono passati a 30 quest’anno. «È un tipo di cinema – spiega Tozzi che pensa a registi come Salvatores, Virzì, Bellocchio e Giordana – che è mediamente un po’ costoso e che oggi è meno pagato dalle tv che si lanciano sul cinema commerciale. Ma sono film che comunque devono essere prodotti». Qualche ricetta? «Io sono dell’idea – spiega Letta – che sia meglio concentrarsi su meno progetti con un contributo più sostanzioso anche per le opere prime e seconde perché oggi si dà poco a tanti soggetti con una pletora di film che non vengono distribuiti e non hanno riscontro». Anche Paolo Del Brocco è pragmatico: «Comunque sia, bisogna sempre che lo Stato trovi le risorse finanziarie. A questo proposito, per aumentarle, io ho sempre sostenuto il prelievo di scopo su chi utilizza i prodotti cinematografici». Guai però a chiamarla tassa.