il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2014
Aleida, la figlia di Ernesto Che Guevara, parla dell’apertura di Obama: «È una vittoria del popolo cubano. Vorrei abbracciare Fidel, da piccola mi teneva sulle ginocchia»
Aleida, 53 anni è la figlia del Comandante Ernesto “Che” Guevara. Pediatra, cura i bambini in ogni Paese in cui la chiamino a farlo. Determinata nell’argomentare le ragioni della Rivoluzione, dolce nell’accompagnare le parole con il sorriso. Gli occhi neri, lo stesso taglio allungato del papà. La incontriamo a Roma dove ha ricevuto il premio Solidarietà 2014 conferitole dalla Fondazione Foedus a pochi giorni dalla storica decisione di Obama. «Sono qui ma vorrei essere a l’Avana per condividere la gioia della vittoria con il mio popolo. Vorrei abbracciare Fidel», ci dice.
È iniziata la fine dell’embargo?
«No, la fine del blocco la decide il Congresso americano, questa è una decisione molto importante per l’apertura, la distensione tra i popoli. Un riconoscimento alla rivoluzione».
Cos’è la Rivoluzione?
«Come dice Fidel: cambiare tutto quello che deve essere cambiato. È l’integrità del rivoluzionario, mantenere un’etica, essere conseguente con il proprio pensiero, essere solidale, sensibile al dolore e all’allegria altrui, sono i suoi valori: l’istruzione, l’educazione, la salute. Ascoltare i giovani perché è un progetto che si tramanda».
Obama ha detto: “Settantamila medici cubani sparsi nei Paesi più poveri del mondo ci hanno messo in crisi molto più di ogni nostra strategia contro Cuba”.
«Una grande verità. Forniamo assistenza medica a 90 Paesi. Quando il blocco economico finirà Cuba sboccerà come un fiore perchè lo spirito del nostro sistema è la solidarietà e il nostro motto: “Dare senza ricordarlo, ricevere senza dimenticarlo”».
Ha detto che vorrebbe abbracciare Fidel. È solita farlo?
«Sì, certo, ne ho bisogno. Da piccola mi teneva sulle ginocchia. Quando nacque mia figlia il 21 dicembre, mio marito che si trovava in Bolivia aveva scelto per lei il nome di Stefania. Fidel disse: si chiamerà Vittoria, in onore del 21 dicembre dell’88 quando venne firmato l’accordo tra Cuba e il Sud Africa per il ritiro delle truppe dall’Angola per l’indipendenza della Namibia. Mi opposi, non era giusto per mio marito. Fidel si avvicinò alla culla la guardò ed esclamò: “Tu non sai ancora il temperamento di tua madre, è figlia del Che”».
Che ripeteva: «Essere duri senza mai perdere la tenerezza».
«La tenerezza, la parte dolce del pueblo, la sensibilità dell’essere umano, la grande forza della rivoluzione».
Cos’è che di lui le tiene compagnia?
«La sua lettera-testamento: “Vostro padre è stato un uomo che si è comportato secondo il suo credo, è stato pienamente fedele alle sue convinzioni. Crescete da bravi rivoluzionari. Studiate tanto e imparate a usare la tecnologia... imparate a sentire profondamente tutte le ingiustizie compiute contro chiunque, in qualunque posto al mondo. Questa è la qualità più importante di un rivoluzionario. Per sempre, bambini miei”».
Cos’è che non le piace del suo Paese?
«Il caldo (ride) Un esempio? Dobbiamo lavorare per il trasporto urbano, per dare case dignitose ai contadini».
E per la piena libertà, per i diritti civili?
«La libertà totale non esiste. La democrazia reale è il potere del popolo. Che potere ha il popolo che dice no alla guerra e i governi inviano le truppe? La violazione dei diritti è un problema culturale, lo abbiamo risolto».
Da che parte starebbe oggi suo padre?
«Sempre dalla stessa parte, oggi più che mai: accanto ai poveri».