Libero, 19 dicembre 2014
I nuovi test del processo bis sono stati fatali per Stasi. Fondamentale la ripetizione della famosa camminata, il dispenser del sapone sporco di sangue, l’analisi della bicicletta e delle scarpe
Il giorno dopo la condanna di Alberto Stasi a 16 anni la famiglia di Chiara Poggi si sveglia col petto più leggero. «Nostra figlia ha finalmente avuto giustizia», hanno commentato i genitori della vittima subito dopo la sentenza, le cui motivazioni saranno pubblicate tra 90 giorni.
A casa Stasi l’atmosfera è diversa. È tutto buio, anche di mattina. L’ex bocconiano era reduce da una doppia assoluzione (dicembre 2009 e 2011), una condizione che difficilmente viene ribaltata. Ma questa è una vicenda segnata fin dall’inizio da colpi di scena. Il più importante è quello dell’aprile 2013, quando la Cassazione ha annullato la sentenza del secondo grado e ha rinviato gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano con questa motivazione: nel giudizio erano stati «svalutati» alcuni indizi e andavano effettuati altri approfondimenti istruttori come richiesto dalla parte civile e dal procuratore generale. Così è stato, purtroppo per Stasi.
I suoi legali hanno già annunciato che presenteranno ricorso in Cassazione. Vietato dirlo, ma tutti sanno che le possibilità che il verdetto cambi di nuovo sono poche. Intanto Stasi continuerà a lavorare, come ha spiegato Giuseppe Colli, uno dei suoi avvocati: «Andrà avanti anche lui a lavorare, come noi andremo avanti per dimostrare la sua innocenza, come abbiamo sempre fatto e per la giustizia. I 16 anni non hanno senso perché Alberto non ha commesso quel delitto e applicare una sanzione di questo genere non ha significato». Colli ha inoltre ha ammesso che dopo la sentenza «siamo tutti rimasti male ovviamente, ma andremo avanti perché non vogliamo che si prenda una persona a caso».
È giusto che Stasi resti libero fino alla sentenza della Suprema Corte? Alla domanda il sostituto pg di Milano, Laura Barbaini, ha chiarito: «Io non devo dire se arresto o se non arresto, io agisco secondo i miei convincimenti, secondo la legge». Per lei è una vittoria a metà. Nella requisitoria aveva chiesto 30 anni di carcere per omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà, e invece i giudici si sono fermati a 16 proprio perché non hanno riconosciuto l’aggravante. Tuttavia ritiene la sentenza «misurata, equilibrata, non credo di ricorrere in Cassazione» ha detto in relazione alla «quantificazione della pena». Una mezza vittoria, dicevamo, perché la struttura accusatoria ha retto.
I nuovi test del processo bis sono stati fatali per Stasi. Fondamentale la ripetizione della famosa camminata, il dispenser del sapone sporco di sangue, l’analisi della bicicletta e delle scarpe. I periti hanno dimostrato che per la quantità di sangue e per la sua disposizione era impossibile per Stasi non sporcarsi le suole del sangue della sua fidanzata e non lasciare tracce sul tappetino della sua Golf nera. Hanno inoltre accertato che dopo l’omicidio l’assassino si è lavato le mani in bagno usando il dispenser su cui è stato rilevato dna di Chiara Poggi e le impronte di Alberto.
C’è poi la questione dei pedali della bici sporchi di materia organica che sarebbero stati sostituiti con quelli di un’altra bicicletta di casa Stasi per nascondere una prova decisiva. C’è un ultimo punto, infine, che riguarda le scarpe dell’ex studente e la ricostruzione di quel 13 agosto 2007 fatta dalla parte civile secondo cui Stasi ha ucciso la fidanzata nella prima mattinata (tra le 9.12 e le 9.36), poi ha finto di trovarla morta ma prima di andare dai carabinieri non è entrato in casa, motivo per cui aveva le scarpe pulite. In sede di verbale aveva detto di ricordare Chiara con la faccia pallida, cosa smentita dalle fotografie della Scientifica in cui il volto della Poggi è coperto di sangue. Com’è possibile? L’accusa ha una spiegazione che potrebbe aver convinto definitivamente la Corte: perché Stasi l’ha vista l’ultima volta mentre la buttava giù dalle scale e non dopo, quando ormai il sangue era colato sulla faccia della sua fidanzata.