la Repubblica, 19 dicembre 2014
Le incongruenze di Stasi. Quei due gradini che lo hanno incastrato. Gli unici dai quali si poteva scorgere il volto di Chiara. E così è emerso scientificamente (ora sì) che Alberto, se fosse andato a vedere il cadavere come racconta, si sarebbe sporcato di sangue le scarpe. Invece, come si sa, erano pulite...
Che cos’è che ha fatto, come si sente dire a palazzo di giustizia, «cambiare il vento» rispetto alle assoluzioni del 2009 e 2011? Alberto Stasi, condannato per omicidio, è sparito, non parla e per i suoi legali «non parlerà sino alla lettura delle motivazioni». La famiglia di Chiara Poggi, la vittima, mantiene l’aplomb che li accompagna da sempre, e anche loro ai tanti amici che vanno a salutarli, compreso il sindaco di Garlasco, aspettano «le motivazioni». Lo stesso atteggiamento è condiviso dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini, che non pensa di fare ricorso: «Sentenza equilibrata», dice.
Però, più si ragiona con chi ha seguito il processo a porte chiuse, più emerge che a far «cambiare il vento» può essere stata la perizia sulla «camminata» di Alberto Stasi nella casa dell’omicidio. Nei primi processi l’esperimento s’era fermato sulla soglia della porta della cantina, dove il corpo di Chiara era stato nascosto. Cioè, non era stata ricostruita la scena del crimine contemplando anche i primi due gradini, gli unici dai quali si poteva scorgere il volto di Chiara. Nell’ultimo processo – come chiedevano parte civile e accusa – i due gradini sono stati «verificati»: e così è emerso scientificamente (ora sì) che Stasi, se fosse andato a vedere il cadavere come racconta, si sarebbe sporcato di sangue le scarpe. Invece le sue scarpe, come si sa, erano pulite.
Nelle cento pagine di motivazione con cui, nel 2013, la cassazione aveva ordinato di riaprire il processo, emergeva la «sottovalutazione delle incongruenze del racconto di Stasi e delle sue omissioni narrative relative al giorno del fatto». Nemmeno nel terzo processo, però, Stasi si è fatto interrogare in aula. Anzi, si è opposto alle nuove perizie, mentre, come prescrive il codice, i giudici del rinvio possono rinnovare (e hanno rinnovato) il dibattimento «per l’assunzione di prove rilevanti». Solo nelle mani dei giudici (Barbara Bellerio ed Enrico Scarlini) si troverà la spiegazione realistica del «giallo di Garlasco». Un fatto resta certo: la sera prima del 13 agosto 2007, Chiara aveva approfittato dell’assenza del fidanzato per aprirgli il computer. Cercava alcuni file, e ce n’erano vari con immagini pornografiche «raccapriccianti per le condizioni delle protagoniste» (definizioni del pg della cassazione). È questo – dice l’accusa – il movente che costringe Stasi a tornare la mattina dopo a casa di Chiara per cercare un chiarimento. E, quando Alberto si scontra con la fidanzata irremovibile, quando teme che «la sua immagine» nella piccola Garlasco possa venire compromessa, la aggredisce: omicidio d’impeto. Con la «messa in scena» del falso ritrovamento ore dopo. Per questa ragione – se questa è la ragione, e lo si saprà dalle attesissime motivazioni – scompare dalla condanna l’aggravante della crudeltà, che si accompagna o alla premeditazione o al sadismo: 24 anni di pena, meno lo sconto di un terzo, sedici anni. Anche se la parola fine si avrà probabilmente dopo la prossima estate, quando il faldone tornerà ancora una volta in cassazione. Nel frattempo, Stasi resta libero.