la Repubblica, 19 dicembre 2014
«Il fatto che la Russia sia in una difficile situazione economica non è una buona notizia. Prima di tutto per i cittadini russi, ma non è una buona notizia neanche per l’Ucraina, per l’Europa e per il resto del mondo». I primi bilanci allarmanti sul costo economico, ma anche politico, che la guerra delle sanzioni sta imponendo non solo a Putin ma anche all’Occidente. E l’Ue ora avvia la missione per recuperare Mosca
Nel giorno in cui varano una nuova serie di mini-sanzioni contro la Crimea, i leader europei si interrogano in realtà su come fare per imboccare la strada di una de-escalation che metta fine alla nuova guerra fredda e riporti Putin e la Russia nel concerto internazionale. È stato questo il tema che ha monopolizzato la discussione alla cena del Consiglio europeo con sui ieri si è chiuso il semestre di presidenza italiana dell’Ue. L’obiettivo non è semplice da raggiungere. Ma, mentre i toni ufficiali restano duri da una parte e dall’altra, la diplomazia informale sta lavorando intensamente per individuare un segnale che consenta di invertire una tendenza che tutti giudicano estremamente pericolosa.
Già al G20 di Brisbane, in novembre, proprio quando Putin è apparso più isolato, erano emersi i primi dubbi, i primi interrogativi sul “che facciamo dopo?”, i primi bilanci allarmanti sul costo economico, ma anche politico, che la guerra delle sanzioni sta imponendo non solo alla Russia ma anche all’Occidente. E ieri, al tavolo del vertice di Bruxelles, i leader europei avevano sotto gli occhi i rapporti sul crollo del rublo e sulle drammatiche difficoltà dell’economia russa, devastata dalle sanzioni e dalla caduta del prezzo del petrolio. Paradossalmente, la conferma dell’efficacia dell’embargo europeo e americano, non ha rallegrato nessuno. «Il fatto che la Russia sia in una difficile situazione economica non è una buona notizia. Prima di tutto per i cittadini russi, ma non è una buona notizia neanche per l’Ucraina, per l’Europa e per il resto del mondo», ha commentato l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini. Un’analisi condivisa in modo quasi unanime al tavolo dei leader europei. «La Russia deve essere portata fuori dall’Ucraina e dentro le grandi questioni internazionali. Una Russia in difficoltà non serve a nessuno», dice Matteo Renzi.
I motivi che spingono gli europei a cercare in ogni modo un’inversione di tendenza sono almeno tre. Il primo è il costo economico, sempre più salato, che le sanzioni impongono soprattutto all’Europa, molto più che agli Stati Uniti, e soprattutto ai Paesi baltici e dell’Est europeo, maggiormente dipendenti dal commercio con Mosca. Un costo che diventerebbe catastrofico se la crisi economica russa avviasse Mosca verso un nuovo “default”.
Il secondo motivo è di ordine politico. L’Occidente si rende conto di quanto sarebbe utile e urgente avere la Russia come partner in tutti i principali teatri di crisi internazionale. Dalla Siria alla guerra contro il Califfato islamico, dal Medio Oriente all’Iran, l’assenza di Mosca e delle sue consolidate relazioni diplomatiche nella regione si fa sentire pesantemente. Senza contare che il nuovo corso inaugurato da Putin, che finanzia apertamente i movimenti più populisti ed estremisti, come il Front National e la Lega, comincia a suscitare timori. Una Russia che soffia sul fuoco del neonazionalismo e dell’antieuropeismo riporta ai tempi in cui l’Urss della Guerra fredda finanziava i partiti comunisti ed i movimenti eversivi.
Il terzo motivo è il timore che il Congresso americano, ormai saldamente controllato dai repubblicani, possa spingere Washington ad una politica sempre più aggressiva nei confronti di Mosca, nella speranza che il tracollo economico possa porre fine al lungo regno di Putin. Proprio ieri il Congresso ha approvato nuove e sanzioni ancora più dure contro la Russia. Obama si è affrettato a spiegare che per ora non intende applicarle. Ma la pressione dei conservatori sulla Casa Bianca può diventare insostenibile se non si registra in tempi rapidi una inversione di tendenza nei rapporti con Mosca.
Tutte queste preoccupazioni sono condivise a livello europeo. Ma, per invertire la tendenza, occorrerebbe che dal Cremlino arrivasse un segnale di distensione. Altrimenti, come ha avvertito ieri Angela Merkel, «le sanzioni restano inevitabili». La preoccupazione principale della Germania, che pure sta pagando un prezzo salato sul fronte economico, è quella di mantenere l’unità degli europei, che finora ha consentito all’Ue di svolgere un ruolo cruciale nella crisi ucraina. Ma ieri questo fronte ha mostrato le prime crepe. «Se la Russia desse il segnale che ci aspettiamo, non ci sarebbe motivo di varare nuove sanzioni e anzi dovremmo cercare di capire come avviare una de-escalation da parte nostra», ha detto il presidente francese Hollande. Dubbi sull’embargo anche dal governo austriaco e da quello danese, mentre Renzi si è limitato a dirsi «assolutamente contrario» a nuove sanzioni.
Ma come ottenere da Mosca quel “segnale” che l’Europa aspetta e reclama? La diplomazia, formale e informale, è al lavoro. A Bruxelles si sottolinea come la Russia stia rispettando gli accordi di Minsk e come la tregua sul fronte ucraino stia tenendo. Due giorni fa Putin ha avuto un nuov colloquio con Cameron, Hollande, Merkel e Poroshenko. Forse, dietro le dichiarazioni di intransigenza, qualcosa si sta muovendo.