Corriere della Sera, 19 dicembre 2014
La Russia tornerà grande «al massimo entro due anni». Queste le parole di Putin all’annuale conferenza stampa di fine anno. Assediato dai mercati, scommette sulla formula: serrare i ranghi dietro il capo. E il Paese si prepara a sopportare le avversità certo della vittoria finale
La crisi economica che si aggrava non sembra spingere Vladimir Putin a più miti consigli, specie nella vicenda ucraina, come vorrebbero Stati Uniti ed Europa. Nella rituale conferenza stampa di fine anno, il presidente rilancia l’immagine dell’orso russo che i nemici vorrebbero imbalsamare dopo avergli strappato unghie e denti. Forte di un consenso popolare che si mantiene altissimo, rilancia come un consumato giocatore di poker: le difficoltà di questo momento faranno benissimo al Paese che si ristrutturerà e, «al massimo entro due anni», farà registrare un nuovo grande balzo in avanti.
Si schermisce con chi gli chiede se si candiderà nuovamente alla presidenza fra tre anni, ma è chiarissimo che considera una pia illusione l’opinione di chi in Russia e fuori già parla di un possibile cambio al vertice. Vladimir Vladimirovich è certo che, come sempre in passato, quando viene stretta in un angolo la Grande Russia serra i ranghi attorno al suo capo e si prepara a sopportare le avversità certa della vittoria finale.
Nella grande sala del Cremlino, Putin non è apparso brillante come al solito, ma ha detto tutto quello che milioni di spettatori incollati davanti alle tv di Stato si aspettavano da lui. Gli scivoloni del rublo, il calo del petrolio, l’aumento dei prezzi sono tutte cose create in buona parte dai nemici esterni; «Ma noi ce la faremo». Poco importa che i giornalisti stranieri e i critici interni continuino a mettere in dubbio queste «verità». Tanto nella maggior parte delle case russe entrano solo notizie e commenti approvati in alto loco.
Come altre volte negli ultimi tempi, il presidente ha sostenuto che la struttura dell’economia russa dovrà cambiare per non dipendere più così tanto dalle materie prime di cui il Paese è esportatore. Oggi gran parte delle entrate dall’estero e metà del budget statale sono dovute al petrolio e al gas. Da anni si cerca di cambiare questo stato di cose, ma finora i risultati sono stati assai scarsi (nonostante investimenti colossali). Putin però ha voluto rassicurare i suoi concittadini: «Il superamento della situazione attuale è inevitabile». La Russia riuscirà a ristrutturarsi e questo vuol dire che anche ulteriori discese del prezzo del greggio, «fino a 40 dollari il barile o oltre», non saranno determinanti.
L’uomo che all’epoca della caduta del muro di Berlino lavorava alla sede del Kgb di Dresda in Germania Est, è convinto che da allora continui il tentativo dell’Occidente di mettere alle corde il suo Paese. Ha parlato di «una specie di nuovo muro» costruito da chi si considera «un impero e vede tutti gli altri come vassalli da schiacciare».
Anche sull’Ucraina Putin ha insistito con la tesi che ai russi viene ripetuta ogni giorno. Quello attuato a Kiev non è stato un cambio di governo che ha portato maggiore democrazia, ma «un colpo di stato da repubblica delle banane o da Paese africano». E i russi che combattono nel Donbass a sostegno degli indipendentisti? Non truppe mandate in incognito dal Cremlino e nemmeno mercenari, ma «uomini che ascoltando il proprio cuore fanno il loro dovere».
Un sondaggio indipendente condotto all’inizio del mese ha certificato un gradimento dell’81 per cento per il presidente russo. Questo prima che il rublo arrivasse a cento contro l’euro e a ottanta contro il dollaro martedì scorso. Con la corsa ai negozi e i prezzi che salgono, certamente la gente ora è più preoccupata. Ma in ogni caso sembra assai improbabile che decida di voltare le spalle al suo leader, se non altro perché il quadro delle alternative politiche interne è sconfortante. Almeno nel breve periodo, la poltrona di Vladimir Vladimirovich appare più che stabile.