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 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

Per Forza Italia, o quello che ne resta, il rischio immediato che il Pd faccia eleggere il prossimo presidente della Repubblica senza Berlusconi è l’emarginazione. Però c’è un vantaggio nel medio periodo, il recupero di un ruolo, quello di oppositore, che è andato svanendo nel corso dell’ultimo anno

La nomina del nuovo capo dello Stato potrebbe portare ad una nuova configurazione del sistema partitico. Le scelte che farà il partito cardine del sistema, il Pd, andranno a modificare i rapporti tra i partiti.
In linea di principio, al Pd basta poco, anche soltanto il consenso del Ncd e di parte di quella platea di non-iscritti, scissionisti e reduci vari, per eleggere un suo candidato. Questa è una via stretta, pericolosa per i pochi voti di margine e impervia per la limitatezza del perimetro politico dei grandi elettori. C’è però anche un benefit non irrilevante: quello di rafforzare in maniera significativa il governo avendo gratificato il Ncd con un ruolo fondamentale – e tamponato le tentazioni di un ritorno all’ovile berlusconiano. Inoltre, il Pd dimostra la sua forza, la sua autonomia da ricatti e pressioni degli avversari, e diventa un magnete irresistibile per quella platea di parlamentari in cerca di un tetto. Tutto ciò sconta una unità all’interno del Partito democratico che ad oggi è tutt’altro che acquisita. Ma in presenza di un nome di alto profilo e consensuale, discusso a lungo con i grandi elettori, non è detto che il Pd non si ricompatti. È vero che molti non aspettano altro che gustare il piatto freddo della vendetta per i tanti sgarbi personali e politici del segretariopremier. Ma è altrettanto vero che costoro, memori della catastrofe provocata dai 101, non se la sentirebbero di mandare al macello un candidato di prestigio e unanimemente apprezzato all’interno del partito. Al tanto peggio tanto meglio c’è pure un limite.
Questo percorso si può rubricare come la “tentazione egemonica” dei democratici. Grazie alla sua forza di attrazione (lo scouting con i fuoriusciti del M5S e nei confronti di Scelta civica procede a passo spedito) e alla gratificazione del Ncd, il Pd rafforzerebbe la sua posizione centrale, e il governo sarebbe blindato per gli anni a venire.
Per Forza Italia, o quello che ne resta, il rischio immediato di questa scelta di Renzi è l’emarginazione; però c’è un vantaggio nel medio periodo, il recupero di un ruolo, quello di oppositore, che è andato svanendo nel corso dell’ultimo anno. Una maggiore vocalità anti-governativa consente di riequilibrare il rapporto con la Lega alla quale viene così sottratto il monopolio dell’opposizione dura e pura. Se invece il Pd preferisce mantenere in vita il patto del Nazareno anche attraverso l’elezione del presidente si aprono altri scenari. Nel breve periodo, Berlusconi guadagna certo qualche gallone di legittimità ma poi vedrà crollare la sua presa sull’elettorato di destra che, se moderato preferirà l’originale (Renzi) alla vecchia copia (Berlusconi), e se radicale andrà verso Salvini. Sul versante Pd, un accordo con Fi sul nome del capo dello Stato, oltre a ricordare l’infausto precedente della bocciatura di Franco Marini, fornisce una plausibile auto-giustificazione ai democrat dissidenti che vogliono sfilarsi. E un presidente eletto con i voti determinanti di Forza Italia diventa un boomerang per il premier. Da un accordo tra Pd e Fi nessuno dei due trae un vantaggio significativo: apparirebbero due debolezze che si sorreggono. Quindi, il consolidamento del Nazareno attraverso il Quirinale rafforza le formazioni più antagoniste, la Lega da un lato e il M5S dall’altro. Per il Pd, un errore tattico madornale. Per Forza Italia, una boccata d’ossigeno ma nulla più.
Vi è poi la strada, improbabile – ma quando si tratta dell’inquilino del Colle, nulla è impossibile –, di un accordo con i M5S. Ad oggi sembra fantapolitica, ma i segnali ci sono. Intanto i 5 Stelle sono tornati sui media rompendo un autolesionistico silenzio stampa. E, al di là della retorica anti-casta e anti-tutto, viene riproposto il “modello Csm” e cioè la disponibilità a convergere su una personalità al di sopra delle parti e di alto profilo. Lo stesso Renzi, direttamente o tramite messaggeri fidati, sollecita i grillini a farsi avanti. Paradossalmente, è proprio questa la strada più agevole per Renzi. Ogni ipotesi di scambio è esclusa, per definizione viene da dire. Il segretario-premier, quindi, non potrebbe essere accusato di qualche oscuro do ut des, maliziosità che continua a circolare sui suoi rapporti con Berlusconi. Inoltre, i 5Stelle, coinvolti in una scelta di così importante, sarebbero giocoforza ricondotti su un terreno più dialogico, terreno dal quale si sono estraniati da troppo tempo. Il “recupero” grillino alle logiche parlamentari costituisce, dal punto di vista sistemico, il miglior esito possibile dell’elezione presidenziale. Qualunque siano le decisioni della ledeadership democratica esse provocheranno un riassestamento del sistema partitico. Nel primo caso, con la via autonoma, si ha un rafforzamento del governo, controbilanciato da una ricomposizione unitaria della destra. Nel secondo caso, con la via “nazarena” il Pd rischia di riacutizzare le tensioni interne, di consegnare alla Lega la guida di una destra radicalizzata e di far salire al diapson le critiche grilline. Nel terzo caso, con il metodo Csm, il Pd favorisce il ricompattamento dell’opposizione di destra, forse raggiunta anche da Alfano, ma non rischia l’impennarsi di conflitti interni e, soprattutto, disinnesca la mina di un quinto dell’elettorato ancora escluso dallo spazio pubblico-politico. Ogni scelta ha rischi e vantaggi per il partito centrale del nostro sistema ma alcune comportano anche cambiamenti di portata sistemica, al di là delle dinamiche parlamentari.