Corriere della Sera, 18 dicembre 2014
Dopo le polemiche, la precisazione di Standard & Poor’s sui criteri con cui vengono assegnati i rating: «I rating di una società non sono legati al Paese dove la società ha la sua sede principale, bensì al Paese verso cui ha un’esposizione rilevante, attraverso investimenti in titoli di Stato, partecipazioni, immobili, ecc»
In merito all’articolo «Il paradosso di Trieste e il vincolo Italia» (Corriere, 13 dicembre), ci piacerebbe chiarire quanto segue.
Le recenti azioni di rating sulle compagnie assicurative italiane sono fondate su criteri che vengono applicati allo stesso modo in tutto il mondo. Essi stabiliscono che i rating di una società non sono legati al Paese dove la società ha la sua sede principale, bensì al Paese verso cui ha un’esposizione rilevante, attraverso investimenti in titoli di Stato, partecipazioni, immobili, ecc. Una società può avere un rating più elevato del Paese se riteniamo che sia abbastanza forte per sopravvivere al fallimento di quel Paese. In ogni caso, l’abbassamento del rating del Paese impatta su esposizioni rilevanti come i titoli di Stato presenti nel bilancio della società, aumentandone, a nostro avviso, il rischio di credito della stessa, soprattutto se tali investimenti rappresentano un multiplo importante del capitale.
Anche una compagnia assicurativa con il 70% delle sue attività all’estero potrebbe, a nostro avviso, non essere capace di far fronte ai suoi impegni in caso di fallimento del Paese. Questo se, a nostro avviso, il suo capitale regolamentare dovesse essere insufficiente per far fronte a potenziali perdite derivanti da quegli investimenti. Ne è un esempio la ristrutturazione del debito sovrano greco che ha comportato perdite di circa il 70% sui titoli di Stato ed è stato anche la principale causa di fallimento delle due maggiori banche cipriote.
Tutte le società assicurative ramo vita a livello mondiale hanno rating limitati a due «notches» (gradini) sopra quello del Paese verso cui hanno un’ esposizione rilevante. Ciò per la loro elevata sensibilità a rischi aggiuntivi non rilevati nel nostro stress test, come la ridenominazione della valuta. Inoltre, alcuni fallimenti di Paesi sovrani hanno portato in passato i governi a modificare unilateralmente le clausole dei contratti delle compagnie assicurative, e questa circostanza a nostro avviso equivarrebbe a un fallimento.
Lotfi Elbarhdadi,
Senior director and Analytical manager Insurance Ratings Standard & Poor’s