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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

Da Bulgakov a Eisenstein, lo strano rapporto di Stalin con gli intellettuali russi. Quando qualcuno lo interessava e suscitava la sua ammirazione, Stalin giocava con lui come un gatto col topo

Nelle sue risposte lei ha spesso parlato dei rapporti di alcuni intellettuali occidentali con il comunismo e l’Unione Sovietica. Sappiamo quali fossero i rapporti di Stalin con gli intellettuali dell’Unione Sovietica?
Carlo Marini
Padova


Caro Marini,
Quando un intellettuale lo interessava e suscitava la sua ammirazione, Stalin giocava con lui come un gatto col topo. Avrebbe potuto schiacciarlo subito con una zampata delle sue mani grosse e pelose (come le descrisse un poeta, Osip Maldel’stam, in alcuni versi che gli costarono la vita), ma preferiva alternare qualche complimento a frasi allusive e minacciose.
Poteva anche essere apparentemente generoso, come accadde quando Michail Bulgakov, caduto in disgrazia dopo essere stato uno dei maggiori narratori e drammaturghi degli anni Venti e Trenta, chiese alle autorità sovietiche di essere autorizzato a espatriare. Stalin conosceva la sua opera e aveva assistito per almeno una dozzina di volte alla rappresentazione di un dramma («I giorni dei Turbin» che l’autore aveva tratto da un romanzo intitolato La guardia bianca ). Vi era raccontata la storia di una famiglia della buona borghesia russa che aveva coraggiosamente e nobilmente combattuto contro l’Armata Rossa. Quando gli fu fatto notare che Bulgakov era stato un reazionario antibolscevico, Stalin rispose che il giudizio sul suo lavoro letterario non poteva essere politico e, aggiunse, a quanto pare: «Se abbiamo vinto contro uomini come quelli, vuol dire che avevamo il diritto di vincere».
Alla domanda di espatrio volle rispondere personalmente con una telefonata a cui il povero Bulgakov, lì per lì, non voleva credere. Gli chiese se volesse davvero andarsene e se un vero intellettuale russo potesse vivere lontano dalla sua patria. Alla fine, quando lo scrittore gli disse che avrebbe preferito restare, dette istruzioni che gli venisse trovato un modesto incarico nel Teatro d’Arte di Mosca.
Più altalenante fu il suo rapporto con un grande regista cinematografico, Sergej Eisenstein, autore di opere che appartengono alla storia della cinematografia sovietica, da «La corazzata Potemkin» a «Ottobre», da «Aleksandr Nevskij» a «Ivan il terribile». In un bel libro dello scrittore olandese Jan Brokken ( Anime baltiche, edito da Iperborea), il lettore apprende che Eisenstein, nato nella Lettonia zarista, fu da Stalin, al tempo stesso, ammirato e detestato. Il «meraviglioso georgiano» non poteva ignorare la forza della sua cinematografia, ma lo trovava troppo astratto, formale e quindi, nel gergo sovietico, «borghese». Sapeva che «Ottobre» era divenuto, agli occhi del mondo, il poema eroico della rivoluzione bolscevica, ma non poteva dimenticare che il regista aveva cercato di lasciare un po’ di spazio, nella sceneggiatura, al personaggio dell’odiato Trotsky. Gli permise di fare i grandi film storici con cui l’Unione Sovietica si appropriò del grande passato nazionale russo, ma non smetteva d’imporre correzioni e modifiche. «Alla fine, scrive Brokken, lo inserì nella categoria degli ebrei ¬— Eisenstein, Mandel’stam, Chagall – che avevano sulla coscienza secondo Stalin le”brutte deformazioni dell’avanguardia”». L’ex allievo di un seminario georgiano detestava gli ebrei più di quanto non detestasse l’arte «borghese».