il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2014
Con la nomina di Franco Lo Voi a successore di Francesco Messineo, il Palazzo si è ripreso la Procura di Palermo che aveva dovuto mollare 22 anni fa, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, con la rivolta dei pm ragazzini cresciuti al fianco di Falcone e Borsellino che misero in fuga il famigerato Pietro Giammanco e propiziarono l’arrivo di Gian Carlo Caselli
Ieri, con la nomina di Franco Lo Voi a successore di Francesco Messineo, il Palazzo si è ripreso la Procura di Palermo che aveva dovuto mollare 22 anni fa, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, con la rivolta dei pm ragazzini cresciuti al fianco di Falcone e Borsellino che misero in fuga il famigerato Pietro Giammanco e propiziarono l’arrivo di Gian Carlo Caselli.
Ora quella stagione che, fra alti e bassi, aveva garantito risultati eccezionali nella lotta a Cosa Nostra e ai suoi tentacoli politico-affaristico-istituzionali, si chiude violentemente con un colpo di mano che ha nel Csm l’esecutore materiale e negli alti vertici dello Stati e dei partiti i mandanti.
Un replay, ma in peggio, dell’operazione che nel 1988 portò l’anziano Antonino Meli e non l’esperto Giovanni Falcone al vertice dell’Ufficio Istruzione. In peggio perché, allora, prevalse nel Csm l’osservanza delle regole formali dell’anzianità. Stavolta tutte le regole, fissate in precise circolari del Csm, sono state travolte per premiare il candidato più giovane, inesperto e totalmente sprovvisto dei titoli minimi richiesti per quell’incarico.
Lo Voi ha 9 anni in meno dei due concorrenti – i procuratori di Messina, Guido Lo Forte, e di Caltanissetta, Sergio Lari –, non ha mai diretto né organizzato un ufficio giudiziario, non è mai stato né capo né aggiunto, ma solo sostituto (e per tre anni appena). L’unico incarico di prestigio l’ha ottenuto per nomina politica: delegato italiano in Eurojust per grazia ricevuta dal governo B. Il che, a prescindere dagli altri handicap, avrebbe dovuto escluderlo in partenza dalla corsa per la Procura che ha fatto condannare per mafia Marcello Dell’Utri e lo sta processando per la Trattativa. Invece è stato questo uno dei pregi che gli sono valsi la vittoria.
Non è qui in discussione l’onestà personale né la capacità professionale di Lo Voi, che ha fama di buon magistrato. Ma la violazione sfacciata della legalità da parte di un Csm che, totalmente asservito ai diktat della politica, ha rinunciato per sempre al ruolo costituzionale di “autogoverno” dei magistrati e ora non tenta neppure di spiegare perché non rispetta neppure le proprie regole.
L’ordine partito dai piani alti era ben noto agli addetti ai lavori fin da luglio, quando il Quirinale bloccò il Csm che stava per nominare Lo Forte (uscito primo in commissione Incarichi direttivi): normalizzare Palermo e commissariare la Procura che ha osato trascinare sul banco degli imputati boss, politici e alti ufficiali per la trattativa Stato-mafia, fino allo sfregio finale di disturbare il presidente Napolitano. E l’ordine è stato puntualmente eseguito da tutti i membri laici, cioè politici, di centrodestra e centrosinistra: il Patto del Nazareno con l’aggiunta sorprendente del “grillino” Zaccaria (complimenti vivissimi) e quella scontata dei togati di Magistratura Indipendente (la corrente di Lo Voi) e dei vertici della Cassazione. Cioè del presidente Giorgio Santa-croce, già commensale di Previti; e del Pg Gianfranco Ciani, che due anni fa parlò con Piero Grasso di avocare l’indagine sulla Trattativa a gentile richiesta del Quirinale e dell’indagato Mancino.
Di fatto, Lo Voi è il primo procuratore di nomina politica della storia repubblicana, sulla scia di quel che accadde nel 2005 per la Procura nazionale antimafia, quando il governo B. varò tre leggi (poi dichiarate incostituzionali dalla Consulta) per eliminare Caselli e intronare il suo unico concorrente, Grasso. Dopo due anni di condanne a morte targate Riina e Messina Denaro – con tanto di tritolo già pronto – contro il pm Nino Di Matteo, e di minacce di servizi vari (“deviati”, si dice) al Pg Roberto Scarpinato, totalmente ignorate dai vertici istituzionali, Palermo attendeva un segnale da Roma. E quel segnale è arrivato: Lari, scortato col primo livello di protezione per le sue indagini su stragi e depistaggi, non può guidare la Procura di Palermo; e nemmeno Lo Forte, reo di aver processato Andreotti, Carnevale, Contrada, Dell’Utri & C.: rischiavano di sostenere il processo sulla trattativa e le indagini sui mandanti esterni delle stragi. Lo Stato di Mafia Capitale non se lo può permettere.