Il Messaggero, 18 dicembre 2014
Il crollo del muro tra Cuba e Stati Uniti è anche un affare economico, per entrambi i Paesi. Per Washington si tratta di un giro d’affari da 1,2 miliardi di dollari. L’Avana ha calcolato che l’embargo finora ha causato danni per 975 miliardi di dollari
Per dare un’idea di come una cancellazione dell’embargo degli Stati Uniti potrebbe ridare ossigeno a Cuba basta esaminare l’ultima cifra disponibile del prodotto interno lordo dell’isola: nell’intero 2011 era pari a 68 miliardi di dollari. Un livello di ricchezza che negli Usa, nello stesso anno, veniva prodotta in un giorno e mezzo.
L’argomento torna di stretta attualità dopo l’annuncio da parte del presidente Usa Barack Obama della prossima normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Una valutazione dei vantaggi economici derivanti dalla ripresa degli scambi non è semplice: è passato oltre mezzo secolo da quando, nel 1962, il presidente Kennedy decise di interrompere anche le relazioni commerciali. Da allora il regime di Castro ha gradualmente imparato a fare a meno degli Stati Uniti prima rivolgendosi a Mosca poi, dopo il crollo dell’impero sovietico, anche a paesi emergenti come il Venezuela. E l’isolamento, come ha ammesso ieri lo stesso Obama, “non ha funzionato”.
I DANNI
Il danno provocato dalle sanzioni è stato comunque enorme: una quantificazione da parte cubana venne data nel 2011 dal viceministro degli Esteri Abelardo Moreno, secondo il quale l’effetto cumulativo di tali provvedimenti aveva toccato la cifra-mostre di 975 miliardi di dollari.
I danni ovviamente, hanno riguardato anche la controparte statunitense, in termini di mancate occasioni di scambi bilaterali. In questo caso una stima viene dalla US International Trade Commission secondo la quale le perdite Usa connesse all’embargo toccano gli 1,2 miliardi di dollari all’anno.
«Rimuovere l’embargo non sarà comunque una panacea», ha avvertito in uno studio Doug Bendow, economista del think tank conservatore Cato Institute. «Altri Paesi – spiega – investono e commerciano con Cuba senza impatti politici. E la mancanza di ampie riforme economiche nell’isola rende più facile che i benefici del commercio vadano al regime piuttosto che alla popolazione, l’opposto di quello che è successo in Cina». Qualche effetto comunque ci sarebbe, puntualizza, ci sarebbe se venisse liberalizzato il turismo. Le misure annunciate ieri dall’amministrazione Obama suggeriscono comunque che il processo di “disgelo” economico sarà molto graduale visto che per i normali turisti americani Cuba resterà per ora off limits anche se sono state allentate le restrizioni su 12 categorie di visitatori (tra cui familiari di cubani, professionisti, giornalisti).
IL VERSANTE VALUTARIO
Si allentano i vincoli anche sul versante valutario: gli Stati Uniti permetteranno relazioni più strette anche a livello bancario mentre le rimesse inviate dai Cubani residenti negli Usa a residenti nell’Isola potranno aumentare a 2.000 dollari ogni tre mesi dagli attuali 500 dollari. D’ora in poi i viaggiatori statunitensi potranno importare in patria beni fino a un valore di 400 dollari.
Dopo mezzo secolo i sigari avana non saranno più tabù negli Usa ma ci vorrà ben di più per risollevare l’economia cubana le cui previsioni di crescita per quest’anno sono state abbassate all’1,4% dal governo. «La realtà – ha sottolineato il New York Times in un editoriale – è che i risultati nel welfare raggiunti dall’isola non sono sostenibili se non cambiano le attuali tendenze economiche e demografiche». Cuba attualmente figura tra i Paesi in cima alla classifica nell’Indice di Sviluppo Umano dell’Onu (che prende in considerazione fattori come istruzione, sanità): un risultato che in America Latina è eguagliato solo da Argentina e Cile.