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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

Frederick Forsyth, il maestro inglese del thriller di spionaggio: «Con l’apertura di Obama a Cuba la guerra fredda è finita davvero, ora posso smettere di scrivere. Andrò a Cuba a pescare. Come Hemingway. Lui continuava anche a scrivere, io a questo punto ho scritto abbastanza»

«Un’ottima mossa, che andava fatta da tempo. Adesso la guerra fredda è davvero finita. E anch’io posso smettere di scrivere». Frederick Forsyth, il maestro inglese del thriller di spionaggio, autore di bestseller mondiali come Il giorno dello sciacallo e I mastini della guerra, ha seguito da vicino, spesso con fonti privilegiate, tanti intrighi internazionali. «Ma di questo ormai temevo di non vedere la conclusione», dice a Repubblica, cogliendo l’occasione della cache duta dell’ultimo muro per annunciare il suo ritiro dall’attività di romanziere.
La pace fra Usa e Cuba comincia con uno scambio di spie: le viene in mente il Check-Point Charlie di Berlino, signor Forsyth?
«Mi vengono in mente tante cose: l’aereo spia di Gary Powers abbattuto dall’Urss, la baia dei Porci, la crisi dei missili, il rischio di una terza guerra mondiale. Insomma, la guerra fredda che poteva diventare calda e è passata anche dal mar dei Caraibi. In un certo senso è caduto l’ultimo muro. È incredibile che siano dovuti passare 25 anni dalla caduta di quello di Berlino. Era un muro ridicolo, perché ci sono soltanto poche decine di chilometri di mare fra L’Avana e Key West. Ma anche questo era un muro che la gente cercava di attraversare a rischio della vita».
Quale è stato il momento peggiore?
«Gli anni dei boat people, che si gettavano in mare con scialuppe, copertoni, qualsiasi cosa stesse a galla, pur di attraversare quel piccolo tratto di oceano Atlantico e arrivare all’America, al luogo che per essi rappresentava la libertà».
La politica Usa verso Cuba è stata un mezzo secolo di fallimenti, come ha detto Obama?
«Se lo dice il presidente è indubbiamente così, ma la verità è che per lungo tempo non c’è stata alternativa. Che cosa doveva fare l’America, mentre i cubani si gettavano in mare per scappare da Cuba? Riallacciare le relazioni, abbracciare Fidel, dire che andava tutto bene? Sarebbe stato come dare una pacca sulla schiena alla Ddr, dirle che per noi era tutto ok, mentre i tedeschi orientali morivano per attraversare il muro di Berlino. Ma i tempi cambiano».
Ed è cambiata anche Cuba?
«È cambiato innanzi tutto lo scenario internazionale. Non c’è più l’Urss, il comunismo è tramontato quasi ovunque, in Cina è solo una forma di controllo statale dall’alto. E poi sì anche a Cuba sono un poco cambiate le cose: se c’è ora una svolta è perché è un riconoscimento reciproco».
Dunque lei approva la mossa di Obama?
«In pieno. Andava fatta molto prima. Cuba è formalmente ancora un paese comunista, ma non mi risulta che sostenga il terrorismo. E se gli Usa hanno rapporti diplomatici con Pechino, che è dall’altra parte del mondo, possono ben averli con L’Avana che è a due passi. Londra mantiene relazioni con Cuba e ciò non ci impedisce di criticarla quando è il caso. Aprire Cuba al turismo, al commercio, alle comunicazioni con l’Occidente, può fare soltanto bene ai cubani e favorire riforme democratiche».
Lei ci è mai stato?
«No, non ho mai messo Cuba in uno dei miei romanzi, sebbene la pesca e le esplorazioni subacquee siano le mie due grandi passioni. Mi risulta che anche a Fidel piacesse fare le immersioni, quando era giovane, ma si teneva la barriera corallina tutta per sé. Adesso forse verranno costruiti alberghi occidentali e sarà possibile un maggiore sfruttamento delle magnifiche risorse dell’isola. Così la mia prossima vacanza potrei anche farla lì».
Vuol dire che Cuba sarà l’ambientazione del suo prossimo libro?
«Non credo proprio, perché quello che sto scrivendo è l’ultimo. Mi ritiro: non che mi manchino gli stimoli, il mondo rimane un thriller anche senza la guerra fredda e lo resterà anche dopo la caduta di quest’ultimo muro. Ma sono vecchio, ho voglia di riposarmi. Andrò a Cuba a pescare. Come Hemingway. Lui continuava anche a scrivere, io a questo punto ho scritto abbastanza».