il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2014
Bankitalia denuncia le Coop dopo il crac di Trieste e i due esposti per "banca abusiva". Ora si tratterà di spiegare a 1,2 milioni di “soci prestatori” che il loro non è risparmio protetto come Costituzione comanda, ma capitale di rischio che in caso di crac finisce in fondo alla classifica dei creditori da soddisfare
La notizia è seminascosta in una comunicazione che la Banca d’Italia ha inviato alla redazione di Virus, la trasmissione di Nicola Porro che nella puntata di questa sera si occuperà del bubbone del “prestito sociale”, 11 miliardi di euro di risparmi che il sistema delle Coop raccoglie come una banca senza esserlo.
Scrive Bankitalia: “La Banca non può investigare, né intervenire, né sanzionare in caso di esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, che è un reato penale il cui accertamento e repressione sono affidati alla magistratura e alle forze di polizia. Qualora riceva segnalazioni su possibili violazioni delle disposizioni in materia, interessa tempestivamente l’autorità inquirente, come è accaduto nel corso del 2014, in relazione a due segnalazioni ricevute”.
Bankitalia non rivela che cosa e a chi sia stato segnalato, ma è presumibile che una delle due segnalazioni coinvolga la Coop Operaie di Trieste, che è sotto procedura fallimentare e con l’ex presidente Livio Marchetti indagato per false comunicazioni sociali e bancarotta, mentre 103 milioni di risparmi raccolti da 17 mila soci della Coop sembrano essersi volatilizzati.
Il caso di Trieste è il trailer di un film che si è già esteso alla vicina CoopCa, in Carnia, e potrebbe presto coinvolgere l’intero sistema Coop. Un anno fa il tema dei supermercati Coop dove si è sviluppata una “banca clandestina alla luce del sole” è stato sollevato da un’inchiesta del Fatto. Subito dopo il presidente dell’associazione di consumatori Adusbef, l’ex senatore Elio Lannutti, ha chiesto lumi alla Banca d’Italia, segnalando proprio il caso di Trieste. Sul sito della Coop Operaie c’era scritto (e c’è scritto tuttora) che il prestito sociale consisteva in un servizio di “deposito a vista”. Proprio ciò che le regole Bankitalia riservano alle banche (autorizzate e vigilate dalla banca centrale) vietando ovviamente a chiunque altro di farlo perché si tratterebbe di un grave reato.
La risposta data lo scorso gennaio all’Adusbef sottolineava che non tocca alla Banca d’Italia vigilare sulle cooperative ma rendeva noto che “questo Istituto ha assunto le iniziative reputate doverose”. Non è dato sapere che cosa esattamente sia stato segnalato e a chi, fatto sta che il fallimento della Coop Operaie di Trieste è stato chiesto lo scorso 27 ottobre, esattamente un anno dopo la segnalazione dell’Adusbef. Un anno durante il quale non è accaduto niente di utile ai 17 mila risparmiatori di Trieste per salvare i loro soldi.
“Esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico”, come lo definisce precisamente la Banca d’Italia è un reato che si commette senza bisogno di fare bancarotta o perdere i soldi dei risparmiatori. Si commette chiamando “prestito sociale” (cioè finanziamento degli investimenti della propria coop) un servizio che viene venduto come “gestione liquidità”, distribuendo libretti di risparmio con i quali si possono fare versamenti e prelievi come su un conto bancario, dotando i soci di tessera magnetica con cui si può pagare la spesa al supermercato con addebito sul proprio libretto, mettendo addirittura i bancomat nei supermercati dove si può prelevare il contante dal proprio “prestito sociale”.
Il problema dunque tocca tutte le grandi coop che fanno una o più di queste attività, e che raccolgono complessivamente quasi 11 miliardi di euro di risparmi senza nessuna vigilanza di Bankitalia e senza la copertura del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Non a caso al congresso di Legacoop che ci chiude oggi a Roma il presidente Mauro Lusetti ha proposto nuove norme più stringenti sul prestito sociale. Saranno introdotte addirittura con una modifica dello statuto per obbligare le coop associate a rispettarle.
Ma il punto più critico, per le coop e per i risparmiatori, sarà la risposta alla pressione della magistratura e di Bankitalia. Si tratta di spiegare a 1,2 milioni di “soci prestatori” che il loro non è risparmio protetto come Costituzione comanda, ma capitale di rischio che in caso di crac come quello di Trieste finisce in fondo alla classifica dei creditori da soddisfare.