Corriere della Sera, 18 dicembre 2014
La Banca centrale Usa va avanti col suo piano di tornare ad aumentare il costo del denaro dal 2015. Ma la Federal Reserve precisa: nessuna decisione almeno fino ad aprile, poi l’aumento con «pazienza». Per la Yellen «il calo del petrolio è come un taglio delle tasse». E Wall Street va su dell’1,7%
Nonostante le tempeste che scuotono l’economia internazionale – recessione in Europa, crollo del rublo e Russia alle corde per effetto del crollo dei prezzi petroliferi – la Banca centrale Usa va avanti col suo piano di tornare ad aumentare il costo del denaro da metà del prossimo anno, modificando una politica del «tasso zero» che resiste, invariata, dal 2008. Ieri, nella sua ultima riunione del dell’anno, il «direttorio» della Fed ha confermato la volontà di andare avanti nel processo di normalizzazione della politica monetaria senza farsi influenzare dalle difficoltà internazionali, nemmeno citate nel comunicato.
Nel documento Janet Yellen ha modificato leggermente il linguaggio fin qui usato: il «periodo considerevole» prima di un aumento del costo del denaro (espressione che secondo gli esperti significa sei mesi) è stato sostituito con l’affermazione che la Fed «può essere paziente» nell’avviare la fase di normalizzazione della politica monetaria. Gli analisti si sono divisi nell’interpretazione di questo passaggio: secondo alcuni indica maggiore prudenza, secondo altri semplice continuità con la linea fissata nei mesi scorsi. Nessuna novità nelle prossime riunioni dell’Istituto, ha detto poi il capo della Fed in una conferenza stampa. Quindi nessun cambiamento almeno fino ad aprile. Poi, forse da giugno, una lenta ripresa del costo del denaro (che a fine 2015 dovrebbe restare ancora sotto il 2%).
Il dato di fondo, comunque, è che in America l’economia tiene e sembra in grado di continuare a svilupparsi (la Fed conferma una previsione di crescita per il 2015 del 2,6-3%) indipendentemente dalle difficoltà internazionali. Mentre la Yellen ritiene che il crollo del prezzo del petrolio, che ha impatti negativi e positivi sull’economia, per l’America si rivelerà un fattore complessivamente vantaggioso. Un messaggio di fiducia che ha ridato fiato alla Borsa (dopo le flessioni dei giorni scorsi, ieri l’indice Dow Jones ha guadagnato 287 punti, l’1,7%, in quella che è stata una delle sedute migliori dell’anno), ma ha fatto anche salire ulteriormente il valore del dollaro.
Qui, però, ha pesato anche l’intervista di Benoît Coeurè al Wall Street Journal nella quale il membro del «board» della Bce ha dato praticamente per scontato il prossimo avvio di un massiccio programma di acquisti di obbligazioni soprattutto pubbliche da parte della Banca centrale europea. A Francoforte non si discute più del «se» o del «quando» intervenire ma del «come». Secondo Coeurè la Bce si muoverà all’inizio dell’anno, anche se non ha confermato che le decisioni arriveranno già alla riunione fissata per il 22 gennaio. Una sortita che ha subito provocato un indebolimento dell’euro.