La Stampa, 18 dicembre 2014
L’inizio della corsa al Quirinale sottolinea l’eclissi politica di Berlusconi e del centrodestra. E pensare che solo un anno e mezzo fa l’ex Cavaliere, di fronte all’impasse generata nel Pd dai franchi tiratori, fu capace di trasformarsi nel grande elettore del secondo mandato di Napolitano, ricavandone subito dopo piena legittimazione del governo di larghe intese
L’inizio della corsa al Quirinale sottolinea l’eclissi politica di Berlusconi e del centrodestra. Qualche difficoltà, non fosse perché è la prima volta che si cimenta in un genere di competizione così pieno di insidie, ce l’ha anche Salvini, e perfino Renzi, di solito più risoluto a gettarsi nella mischia, stavolta mostra insieme prudenza e consapevolezza che la strada del Colle potrebbe nascondergli qualche trappola.
Ma per Berlusconi, non bastano le limitazioni imposte dalla condanna ai servizi sociali, a cui continuamente si richiama per giustificarsi, a spiegare l’assoluta mancanza di iniziativa. Se solo si riflette che un anno e mezzo fa l’ex Cavaliere, di fronte all’impasse generata nel Pd dai franchi tiratori, fu capace di trasformarsi nel grande elettore del secondo mandato di Napolitano, ricavandone subito dopo piena legittimazione del governo di larghe intese, in cui l’allora Pdl entrò con propri ministri, colpisce ancor di più la dissipazione che il leader di Forza Italia ha fatto del patrimonio politico che era riuscito a ricostituire.
Sarà che la condanna, con la decadenza da senatore, ha condizionato Berlusconi anche sotto il profilo psicologico, un lato molto importante anche della sua personalità politica. Eppure, l’elenco delle decisioni sbagliate prese in pochi mesi rimane impressionante.
L’uscita dal governo Letta dopo l’impossibile tentativo di barattare il suo appoggio con la grazia che Napolitano non gli avrebbe mai concesso in questo modo. La rottura con Alfano, spinto verso l’uscita insieme agli altri dell’Ncd, per un errore di calcolo sul numero dei parlamentari disposti a «tradire». La rottura annunciata e ormai quasi irrimediabile con Fitto, che è diventato il capo di un partito nel partito con una cinquantina di parlamentari che gli rispondono direttamente. E infine il braccio di ferro con Renzi per ottenere, prima l’intesa su un candidato concordato per il Quirinale, e solo dopo garantire i voti di FI per l’approvazione della nuova legge elettorale, bruciando nel frattempo, per inciso, il nome di Giuliano Amato, proposto estemporaneamente e senza grande convinzione.
In questa maniera Berlusconi ha di fatto vanificato il patto del Nazareno, l’unico risultato ottenuto nella stagione nera della sua progressiva emarginazione, ha portato alle dimissioni Denis Verdini, l’uomo che di quel patto era il perno, e alla fine rischia di restare fuori anche dalla grande partita per il Colle: Renzi, infatti, i sessanta voti che gli servono, se il Pd resterà unito, potrebbe andare a cercarseli in Parlamento senza chiederli a Forza Italia.