La Stampa, 18 dicembre 2014
Un popolo che si ritrae terrorizzato di fronte alla prospettiva di organizzare lo spettacolo delle Olimpiadi farebbe meglio a consegnare le chiavi del proprio Paese e andare a ritirarsi altrove. D’accordo, l’aria è viziata, ma vi sembra una buona ragione per smettere di respirare?
Come sostiene un mio amico che nella sua vita precedente ebbe l’ardire di impegnarsi in politica, un popolo che si ritrae terrorizzato di fronte alla prospettiva di organizzare lo spettacolo delle Olimpiadi farebbe meglio a consegnare le chiavi del proprio Paese e andare a ritirarsi altrove. Se ci consideriamo incapaci di intraprendere qualsiasi progetto senza rubare, tanto vale chiudere gli ospedali, notorio ricettacolo di creste e mazzette, e non costruire né aggiustare più case, dal momento che dietro ogni mattone è in agguato un mascalzone. La rabbia dei delusi ha partorito la prostrazione dei depressi e adesso stiamo assistendo a una resa senza condizioni. D’accordo, l’aria è viziata, ma vi sembra una buona ragione per smettere di respirare? In un mondo normale il dibattito non verterebbe sull’opportunità di ospitare le Olimpiadi, ma semmai sulla trasparenza da garantire agli appalti. Invece la paura e l’avvilimento ci hanno trasformato in una congrega di sconfitti, intrisi di sfiducia nei confronti del futuro e del prossimo, che predicono sciagure e scuotono di continuo la testa, opponendosi per principio a qualsiasi mutamento. È diventato troppo facile, ma anche troppo comodo, raccattare consensi compiacendo la parte più distruttiva e mugugnante di noi stessi. Appena dici che gli italiani fanno schifo, gli italiani ti applaudono, sbellicandosi dal ridere o sparacchiando qualche insulto. Forse perché si sentono esclusi, a torto, dalla categoria.