la Repubblica, 18 dicembre 2014
Così Putin difende il rublo per difendere il suo trono. La partita riguarda molto da vicino noi europei. Il collasso della Russia avrebbe conseguenze devastanti sulla nostra sicurezza, non solo economica. Se Putin cadesse, poi, difficilmente verrebbe sostituito da un fervido cultore delle libertà occidentali. Né si può escludere che la fine di quel regime si sveli fine della Russia, scavando un gigantesco buco nero geopolitico, con relative guerre di successione
Difendere rendita energetica e rublo equivale per Putin a salvare il suo trono. La recente storia russa rivela una correlazione diretta fra caduta dei prezzi petroliferi, catastrofe finanziaria e crisi del regime politico. Fu così nel 1988, sotto Gorbaciov, quando il crollo del barile contribuì ad accelerare il suicidio dell’Unione Sovietica. Nel 1998, default e svalutazione della moneta segnarono la fine ingloriosa dell’esperimento eltsiniano e aprirono la strada, l’anno successivo, alla scalata di Putin al potere. Il 2015 sarà l’ultimo anno del presidente/zar? Obama sembra scommetterci. Con lui buona parte dell’Europa, specie quella un tempo sottomessa a Mosca.
Il leader dell’Occidente o di ciò che ne resta vuole far pagare a Putin l’annessione della Crimea e il sostegno ai ribelli dell’Ucraina orientale. Le sanzioni contro la Russia sono votate a questo. E martedì la Casa Bianca ha annunciato che le inasprirà. Corollario implicito: se le sanzioni dovessero portare alla caduta del regime putiniano tanto meglio. Come minimo, la guerra economica avrà ottenuto lo scopo primario: ridurre la Russia alla taglia di fragile potenza regionale, dopo che Putin si era illuso di elevarla al rango di coprotagonista della scena globale.
L’occasione è ghiotta, forse irripetibile. Sorpreso e sconfitto a Kiev, Putin si è trovato a un bivio: ammettere di aver perso l’Ucraina e trattare una non disonorevole resa con gli Stati Uniti, che avevano sostenuto la rivolta di Majdan; oppure accettare uno scontro di lungo periodo, giocandosi tutto pur di non passare alla storia come lo zar che perse la culla della Madre Russia. Stretto in questa alternativa del diavolo, pur di mascherare la sua sconfitta Putin ha scelto la seconda strada. Primum vivere. Sposando il principio della martingala – il rilancio continuo della posta – ha deciso di accettare la sfida Obama. Alle sanzioni Putin non intende piegarsi, facendo leva sul leggendario patriottismo russo. Sicché la riconquista di parte dell’Ucraina è per lui la replica necessaria alla rappresaglia economica scatenata dagli Stati Uniti e (meno appassionatamente) dagli europei per il ratto della Crimea. Putin pensa e agisce in una logica di guerra, mobilitando il paese contro l’”aggressione occidentale” e il “golpe fascista” a Kiev.
Mosca dispone però di risorse inferiori a quelle americane. Espone semmai il suo tallone d’Achille: la dipendenza dalla rendita energetica. L’economia russa vive dell’esportazione di idrocarburi. Senza, muore. Classico caso di Stato-rendita, che evita alla popolazione tasse pesanti e ne sopisce eventuali ambizioni di rappresentanza grazie alla redistribuzione di quote dei ricavi dalla vendita di petrolio e gas. Sicché l’effetto parallelo del crollo del valore del rublo sotto il peso delle sanzioni occidentali e della caduta del prezzo del greggio anche a causa della scelta saudita – concordata con gli americani – di mantenere alta la produzione di petrolio (e quindi basso il prezzo) come strumento di pressione su Teheran e Mosca, mette in questione la stabilità della Federazione Russa. Effetto collaterale di questa sfida è l’allentamento delle relazioni energetiche e geopolitiche fra europei (segnatamente tedeschi) e russi, da sempre una priorità strategica di Washington. Dove la sensazione è che nel tiro alla fune sull’Ucraina il tempo giochi contro Mosca.
La partita riguarda molto da vicino noi europei. Il collasso della Russia avrebbe conseguenze devastanti sulla nostra sicurezza, non solo economica. Se Putin cadesse, poi, difficilmente verrebbe sostituito da un fervido cultore delle libertà occidentali. Né si può escludere che la fine di quel regime si sveli fine della Russia, scavando un gigantesco buco nero geopolitico, con relative guerre di successione. Scenario del tutto evitabile, se russi e americani – e per quel che contano anche gli europei – scegliessero la via del compromesso. Molti restano convinti che sull’Ucraina un’intesa si troverà. Ma il tempo non lavora per la pace. E attenzione a non sottovalutare l’orgoglio di leader disabituati a perdere. A volte, per salvare la faccia, perdono il trono. Però solo dopo essersi giocato il paese.