il Giornale, 18 dicembre 2014
La condanna di Alberto Stasi? Come con la Franzoni: colpevole, ma solo un po’. C’è qualcosa di molto strano nel verdetto, secondo Vittorio Feltri: «Il caso si è chiuso senza prove e con indizi sulla cui consistenza non abbiamo dubbi solamente noi, ma anche i giudici dei primi due procedimenti. Significa che la colpevolezza del giovanotto era assai difficile da accertare»
Alberto Stasi come Annamaria Franzoni: colpevole, ma solo un po’. Dopo due sentenze assolutorie, in primo e secondo grado, il giovane commercialista di Garlasco è stato condannato a 16 anni di reclusione per avere ucciso la fidanzata Chiara Poggi, nel 2007. Siamo allibiti. La Corte d’appello di Milano ha ribaltato i giudizi precedenti pur basandosi sugli stessi indizi che altri tribunali avevano considerato insufficienti a infliggere una pena per omicidio. Sette anni durante i quali gli investigatori hanno indagato, ordinato e vagliato perizie più o meno contraddittorie; sette anni e quattro processi per emettere una sentenza che, se sono buoni gli elementi usati dall’accusa, doveva essere pronunciata almeno cinque anni orsono. Elementi, peraltro, smontati sistematicamente dalla difesa.
C’è qualcosa di molto strano nel verdetto. Abbiamo citato la mamma di Cogne alla quale i giudici, per avere massacrato il figlioletto, rifilarono 15 anni, relativamente pochi se si tiene conto della gravità del delitto. Lo stesso discorso vale per Stasi. Sedici anni anche a lui per avere fatto fuori una ragazza nel modo noto, a sprangate. Entrambi i casi si sono chiusi senza prove e con indizi sulla cui consistenza non abbiamo dubbi solamente noi, ma anche (per Stasi) i giudici dei primi due procedimenti. Significa che la colpevolezza del giovanotto era assai difficile da accertare.
Da quando un genio modificò il codice di procedura penale, abolendo l’insufficienza di prove, il compito delle toghe è diventato arduo. A ogni costo devono pronunciarsi a favore o a sfavore dell’imputato. Tertium non datur. La formula dubitativa, cioè l’insufficienza di prove, permetteva invece una soluzione più equa, in determinate circostanze. Si dice che le sentenze si rispettano e non si discutono. Storie. Alberto Stasi è obbligato a beccarsi la condanna. Noi invece siamo liberi di discuterla e perfino di contestarla. Ci sembra assurdo quello che è successo. Possibile che i medesimi indizi siano stati valutati allo stesso modo da due tribunali e diversamente dal terzo? Non vorremmo che l’ultimo e, forse, definitivo giudizio (se la Cassazione non avrà nulla da obiettare) si fondasse su impressioni e suggestioni piuttosto che su un autentico convincimento. Una specie di compromesso giustificato dall’esigenza di sciogliere un giallo che ha turbato l’opinione pubblica, e attorno al quale sono state organizzate decine di trasmissioni televisive, con la partecipazione di guru, criminologi, giornalisti, esperti di vario genere e talora fasulli.
La nostra è solo un’ipotesi, ma suffragata dall’osservazione della realtà. Una realtà peggiore del delitto in questione, pur salvando la pietà per Chiara, stroncata poco più che ventenne. Nell’elenco di chi patisce sofferenze indicibili va aggiunto il nome di Alberto Stasi, strattonato per lungo tempo come un cencio e alla fine candidato al carcere. Sedici anni: perché?