il Giornale, 17 dicembre 2014
Cinema, quelle 53 opere cinematografiche finanziate dallo Stato con oltre 19 milioni di euro pubblici. I budget crescono ma gli incassi dei film calano del 25 per cento
La pagliuzza e la trave. Tutti a prendere in giro Belén Rodríguez perché un film con lei protagonista ha ricevuto un finanziamento dallo Stato di 200mila euro. Tanto che non si è neanche avvertito il bisogno di dire che il film in questione, Non c’è due senza te, ha anche un regista, l’ascolano Massimo Cappelli, all’opera seconda (e per questo giustamente sostenuto dal ministero per i Beni e le Attività Culturali), e una distribuzione. Insomma uscirà in sala e magari rischia di incassare.
Mentre la trave oggi può essere rappresentata dai contributi diretti a registi consolidati e a produzioni fortunatamente già belle solide. Nel 2013 lo Stato ha speso 19,3 milioni di euro per finanziare 53 film. L’impressione è che il sistema dei finanziamenti statali, oggi molto più trasparenti che in passato grazie anche al vituperato – all’epoca – «reference system» di Urbani, così com’è, alla lunga, non funzioni. Perché sta creando un mercato dopato in cui lo Stato finisce per generare un cinema a sua immagine e somiglianza, di «interesse culturale» un po’ museale, gerarchico, con derive quasi etiche. Insomma, per semplificare, il cosiddetto «Film Mibac». Un cinema dove Leopardi e Boccaccio, dal quale hanno appena tratto un film i fratelli Taviani, «sono i supereroi Mibac» come ha avuto modo di scrivere Andrea Minuz sul Sole 24 Ore. E, visto che l’estetica del Film Mibac persegue la «formazione di un’identità culturale nazionale attraverso l’industria dell’audiovisivo», ecco che «in alternativa, c’è la lezione di educazione civica. Eutanasia e laicità con Bellocchio e Bella addormentata. Eutanasia e materialismo storico con Miele di Valeria Golino. Il testamento biologico è già epica Mibac». Subito sbeffeggiata da Checco Zalone che, in Sole a catinelle, ha messo un regista italiano col turbante in testa che gira Eutanasia Mon Amour ma interrompe le riprese perché «sente puzza di borghesia».
Una via d’uscita possibile, semplice e liberale, potrebbe essere, per certi film, allargare la defiscalizzazione (i cosiddetti tax credit e tax shelter introdotti dal ministro Bondi) rendendo i produttori molto più autonomi e responsabili. Una ricetta che non deve essere molto distante da quella che il ministro della cultura Franceschini ha in testa e che finirà probabilmente nel progetto di riforma del cinema e dell’audiovisivo a cui sta lavorando in vista della legge di Stabilità.
Su questa linea si muove anche Giacomo Giubilini, filosofo del linguaggio prestato al marketing. Al romano Kino – un cineforum-cenacolo di giovani idee – ha tenuto una discussione, sulla base di suggestioni di un altro attento studioso come Giacomo Manzoli, in cui, oltre ad aver calcolato che i film con contributo statale costano circa il 40% in più e incassano il 25% in meno di quelli non finanziati, ha codificato come deve essere pensato un film per ottenere i finanziamenti. Con l’idea geniale di proporre la sceneggiatura perfetta per un Film Mibac dal titolo Il giovane Pasolini (il riferimento a Il giovane favoloso di Martone e Pasolini di Ferrara, entrambi finanziati dallo Stato, è palese: «Che c’è in Italia di più culturale e brandizzabile di Pasolini?»).
Perché in un film Mibac «si ha da soffrire con un’estetica manieristica della gravità», deve prevalere il «non detto per far intuire il grande tema, sempre eticamente ineccepibile e didascalico», dove «il contemporaneo è, a prescindere, deriva morale» come il «passato» che o è «monumentale o, meglio (più soldi), storia tragica di questo paese». Lo spazio dell’interiorità di un personaggio perduto deve essere «acquatico, pneumatico, e notturno: gradite le luci al neon». Ecco allora la periferia, le suburre, gli Aspromonti (Anime nere di Munzi), campagne e lidi laziali metafora di «alterità e fuga». E il silenzio e il primo piano come forme della denuncia e della deriva morale sottolineate da inquadrature interminabili, «anticapitaliste e anacronistiche». Infine una «lenzuolata di primi piani con musica sotto oppure una corsa in motorino o a perdifiato sinonimo di adolescenza, libertà, rivolta (in due senza casco) amore e desiderio e fuga: corri che ti passa».