il Giornale, 17 dicembre 2014
Sono 91.975 le imprese in Italia che hanno tirato giù definitivamente la saracinesca a fronte di 56.677 nuove aperture. E il 40 per cento delle attività sopravvive al massimo per tre anni. I negozi chiudono ma tornano di moda le bancarelle
Sempre meno negozi sempre più bancarelle. È questa la fotografia del commercio al dettaglio in Italia nel 2014, scattata dall’Osservatorio di Confesercenti. Quest’anno, infatti, l’organizzazione prevede un saldo negativo di circa 35mila aziende operanti nel comparto. A tirare giù definitivamente la saracinesca, infatti, dovrebbero essere 91.975 imprese a fronte di 56.677 nuove aperture. Un dato ancor più negativo è l’incremento del numero di iniziative che non riesce a sopravvivere nei primi tre anni: si tratta del 40% contro il 30% di quattro anni fa.
Non è solo questione di crisi, ma anche di un’elevata pressione fiscale che ha messo in crisi la vitalità stessa del comparto commerciale e del turismo. E sicuramente non è un caso che Confesercenti abbia diffuso i dati ieri, 16 dicembre, giornata nella quale si sono concentrate parecchie scadenze fiscali, a partire da Imu e Tasi per finire con l’Iva. Una stangata da 44 miliardi di euro in un sol colpo, secondo le recenti elaborazioni della Cgia di Mestre che imputa la responsabilità del protrarsi del trend negativo a una pressione fiscale «reale» (al netto dell’economia sommersa) del 49,5 per cento.
L’analisi in base alle diverse tipologie di impresa commerciale ha evidenziato, prosegue l’associazione, come nel 2014 si sia assistito a una vera e proprio moria degli esercizi tradizionali: nel 2014 le chiusure (49.517) sono state più del doppio delle aperture (23.005). Non c’è settore merceologico che si sia salvato. L’abbigliamento ha perso complessivamente 7mila punti vendita, mentre l’alimentare circa 3.200. Non è andata meglio al comparto turismo all’interno del quale vengono annoverati ristoranti (-5.500 il saldo) e i bar (-5.400).
Anche Confesercenti, inoltre, tratteggia uno scenario lievemente deflazionistico evidenziando come, a fronte di una stagnazione della spesa per consumi (+0,2% annuo la variazione prevista nel 2014), sia salita all’83% del totale la quota di aziende che praticano sconti alla clientela, per uno sconto medio del 27 per cento. La quota di prodotti in promozione, in percentuale dell’intero campionario, è salita dal 22,4% del 2007 al 30% attuale.
Per quanto Confesercenti sia cautamente ottimista per il triennio 2015-2017, non si può non evidenziare come la recessione stia fondamentalmente cancellando la struttura del commercio così come la conosciamo. Bancarelle e ambulanti sono destinati a vivere un nuovo boom (+11.800 imprese), cresceranno anche i piccoli negozi alimentari (+1.400), mentre soffriranno le altre attività. In particolare, l’abbigliamento (-3.100) e i casalinghi (-5.500) segneranno i cali maggiori.
È la rivoluzione dell’e-commerce. Chi non è su internet acquisterà vestiti e accessori dagli ambulanti, mentre tanto i «digitalizzati» quanto gli «analogici» compreranno cibo e bevande dal negozietto sotto casa. È il futuro, ma assomiglia in modo pazzesco agli anni ’50.