il Giornale, 17 dicembre 2014
Il calvario di Alberto Stasi. Oggi la quarta sentenza. Le prime due furono di assoluzione; la terza le ha annullate con l’invito ad approfondire le indagini. Rieccoci a parlare delle scarpe, della bici, del sapone ma anche del Dna sotto le unghie della povera Chiara Poggi e della tempistica del delitto...
Rieccoci. Quella prevista per oggi è la quarta sentenza, al termine di altrettanti processi, che Alberto Stasi deve ascoltare per lo stesso reato: omicidio. Le prime due furono di assoluzione; la terza, emessa dalla Cassazione, le ha annullate con l’invito ad approfondire le indagini, segnatamente alcuni indizi «trascurati». Cosicché la Corte d’appello di Milano si è immersa nel lavoro allo scopo di redigere il quarto pronunciamento, la cui lettura in aula avverrà entro stasera.
Inutile dire che l’attesa è densa di suspense. Attesa che per l’imputato è un tormento, per quanto vissuto con dignitosa freddezza. Il delitto fu commesso nell’agosto del 2007. Sette anni ricchi di colpi di scena, tra cui l’arresto dell’accusato (di avere ucciso la fidanzata, Chiara Poggi, poco più che ventenne) e la sua scarcerazione, avvenuta di lì a una settimana per insufficienza di prove. Un tempo tanto lungo non è bastato a risolvere il giallo, ma è stato più che sufficiente per fare a pezzi l’esistenza di Stasi, sottoposto alla tortura di sfibranti interrogatori, rinvii e aggiornamenti, speranze e delusioni.
Una simile serie di supplizi avrebbe stroncato chiunque, inducendolo addirittura al suicidio liberatorio; ed è la conferma che i famosi tre gradi di giudizio non garantiscono affatto l’imputato, semmai lo stressano e lo riducono a un cencio. Non si può campare per anni con la spada di Damocle sulla testa né resistere a un continuo alternarsi di verdetti assolutori e di rifacimenti processuali. Fra l’altro la sentenza odierna, favorevole o no che sia al giovin dottore commercialista, non sarà definitiva. Ce ne sarà comunque una quinta a opera della Cassazione, che convaliderà o annullerà il procedimento.
L’iter giudiziario che abbiamo riassunto dimostra il cattivo stato di salute della Giustizia, la responsabilità del quale non crediamo però sia della magistratura, bensì del potere legislativo che non è capace di introdurre riforme adeguate. Ma forse non è questa la sede idonea ad attaccare il Parlamento più ignavo del mondo. Non mancheranno altre occasioni per farlo. Al momento ci preme osservare cosa sia in effetti cambiato nel secondo appello rispetto al primo, quali prove si siano aggiunte ai labili indizi su cui si erano basati i giudici per assolvere Stasi. Nulla è sostanzialmente mutato.
Si è discusso ancora delle scarpe del presunto assassino, sotto le quali non sono state trovate macchie di sangue; si è riparlato di biciclette e del sapone recante tracce dalle quali è stato ricavato il Dna dell’imputato. Tutta roba vecchia e già ben usata dalla difesa: il sangue era secco e, istintivamente, Alberto aveva in ogni caso evitato di calpestarlo; le biciclette non si capisce che c’entrino con l’omicidio; quanto al Dna, ovvio che fosse presente in bagno, sul lavabo, dato che il fidanzato di Chiara frequentava quotidianamente casa Poggi.
Solo due i dettagli inediti, ma ininfluenti: sotto le unghie della vittima c’era il Dna (di un individuo) col cromosoma Y «non del tutto incompatibile con quello di Stasi». Una scoperta che si commenta da sola. Il secondo particolare attiene alla tempistica del delitto, che potrebbe essere stato commesso nell’arco di pochi minuti. Sottolineiamo «potrebbe».
La logica suggerisce che se gli elementi nuovi sono quelli appena descritti, inconsistenti, la sentenza di oggi non potrà essere diversa dalle precedenti, cioè quelle assolutorie e azzerate dalla Cassazione. Ma non si sa mai.