Il Messaggero, 17 dicembre 2014
Nove milioni di spettatori per i Dieci Comandamenti di Roberto Benigni: «Ho esagerato, la gente ormai mi vuole destinare l’8 per mille»
Habemus record. Immaginabile, inevitabile (visto che gli altri canali hanno praticamente chiuso bottega): Roberto Benigni ha svuotato le casse dell’Auditel con la sua biblica cavalcata: 9 milioni e 100 mila spettatori, il 33,2 di share martedì sera. Il programma più visto dell’anno, non importa se le altre sue epiche galoppate in passato avevano ottenuto plebisciti ancora più devastanti (la Costituzione, due anni fa, aveva superato i 12 milioni e sfiorato il 44 per cento. L’Inno di Mameli a Sanremo addirittura i 15 milioni e il 50 per cento), non importa se il comico non è più lo scatenato e impertinente guitto incendiario di una volta e si è trasformato in un erudito esegeta, un teologo amante dell’iperbole, un comico ecumenico che alla battuta ha sostituito il superlativo. E se il successo è ridotto, da scontare c’è il fatto che la tv generalista ha ormai ceduto ampie quote del suo ascolto. Ma i numeri, non c’è dubbio, lo confortano. Ha addirittura sterilizzato lo zapping. L’Auditel racconta una permanenza senza tentennamenti e il profilo della platea televisiva ha tenuto insieme laureati (il 44 per cento), classe alta (39 per cento) e classe media (34 per cento), non escludendo i giovani (che, si sa, non sono grandi frequentatori dell’ammiraglia Rai (il 26,59 per cento nella fascia 15-24 anni), stante che gli over 55 sono stati oltre il 70 per cento.
EVENTO
Grandi numeri, perché i Dieci comandamenti firmati Benigni si sono presentati con le stimmate dell’evento irripetibile. Per la verità l’evento è stato ripetuto ieri sera con i sette comandamenti che mancavano all’appello, un altro monologo infervorato, estasiato, interrotto solo da un breve prologo a commento dell’oceanica adesione del debutto e qualche battutina: «Vi vorrei ringraziare tutti, mandarvi un mazzo di fiori, due giacinti, 80 euro». E interrotto da un po’ di autoironia: «Forse ho esagerato un po’. Ieri per strada uno si voleva confessare con me, un altro voleva donarmi l’8 per mille». Poi solo qualche piccola impertinenza, quando a proposito del quinto comandamento, non rubare, ha detto: «Questo l’hanno scritto in italiano» e poi quando sull’ottavo, non fornicare, ha precisato: «La Chiesa l’ha manomesso, ci ha fatto credere che ogni cosa che riguarda il sesso fosse peccato, invece era solo rivolto all’adulterio». Frammenti perché nella doppia cavalcata Benigni ha confermato che la sua attrazione per i temi alti è irreversibile e che questa matura passione lo costringe a pagare un pedaggio rispetto al suo talento istintivo, invischiato in un’oratoria dove l’aggettivo enfatico è chiamato a mostrare la profondità dei suoi studi. E, stavolta, Roberto ha perfino ottenuto il plauso generale del fronte religioso. Insomma, per stare alla sua battuta di martedì, quando disse «stavolta o mi arrestano per vilipendio alla religione o mi fanno cardinale», rischia addirittura di entrare comico e uscire porporato. Non è poco se si ricorda che è lui quello del Woitjlaccio sparato a Sanremo o dell’irriverenza del Pap’occhio arboriano. «Scommessa vinta» ha decretato Famiglia cristiana che ha evocato il «miracolo tv». L’agenzia dei vescovi, il Sir, ha parlato di un «Benigni che ha dimostrato «come si possa fare spettacolo vero senza scadere nella ricerca di consensi costi quel che costi». E l’Avvenire è sulla linea: «Solo Benigni poteva riuscire nell’ambizione temeraria di misurarsi in prima serata su Rai1 su un tema incommensurabile come i Dieci Comandamenti». Altro che il comico che faceva monologhi satirici sulle Tavole (e venne denunciato). Oggi perfino i teologi applaudono. E l’Auditel santifica il successo.
Ora viene da chiedersi, dopo aver esaurito Dante, Mameli, la Costituzione e i Comandamenti, cosa può inventare Roberto per mantenere la linea dei temi alti e universali?