il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2014
Anche il direttore del Tempo Gian Marco Chiocci finisce nell’inchiesta su Mafia Capitale. Lui dice di essere stato indagato (al momento non risulta) e si difende: «Non ho mai passato soffiate giudiziarie a Carminati e Buzzi»
Nessuna soffiata a favore del Re di Roma. Così Gian Marco Chiocci, direttore de Il Tempo, si difende dopo la notizia – diffusa da lui stesso tramite un lancio Ansa – della propria iscrizione nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Ad oggi non risulta indagato. Chiocci ha fatto sapere di aver ricevuto una telefonata da un direttore di un quotidiano che gli aveva riferito che era iscritto per favoreggiamento. Il direttore del Tempo per risolvere il dubbio dell’esistenza di un’indagine nei suoi confronti, avrebbe potuto fare istanza in base all’articolo 335 del codice di procedura penale, ossia chiedere in Procura l’attestazione per sapere di eventuali iscrizioni nel registro degli indagati.
Ma il giornalismo a volte viaggia su binari meno diretti e così Chiocci ha preferito parlare all’Ansa. Il direttore è finito nella vicenda dopo una nota inviata dal Ros alla Procura di Roma il 30 novembre dove si raccontava un cambio di atteggiamento di Carminati. A fine novembre il Cecato “ha mutato vistosamente le proprie abitudini quotidiane, mostrandosi più guardingo ed assumendo comportamenti (mai tenuti) che fanno ritenere abbia intenzione di sottrarsi alla cattura”. Elemento che viene riscontrato dal “contenuto di una conversazione registrata “uso all’indagato Salvatore Buzzi”. È il 14 ottobre e Buzzi rivela a Carminati “di aver ricevuto notizie in merito alle indagini a carico dell’interlocutore dal direttore del Il Tempo, Gian Marco Chiocci, con cui – come ampiamente documentato – Buzzi stesso intratteneva costanti rapporti basati su reciproci interessi”. A ciò si aggiungono i servizi giornalisti fatti da Ballarò ed Annozero, che agitavano ancora di più Carminati, il quale con i giornalisti non ha mai avuto buoni rapporti.
Eppure Chiocci lo ha incontrato: “Erano vent’anni che rincorrevo Massimo Carminati – dice oggi al Fatto –. Quando il suo avvocato mi ha detto che voleva incontrarmi non potevo non andare. Non lo conoscevo prima. Poi a marzo scorso è venuta in redazione l’avvocato Ippolita Naso, figlia del legale di Carminati Giosuè Naso, per due motivi: perché voleva prendere nell’archivio alcuni articoli scritti dal nonno sul nostro giornale e poi per dirmi che Carminati aveva deciso di incontrarmi”. E così nello studio di Naso il 14 marzo scorso avviene l’incontro con il Re di Roma: “Non ho detto nulla dell’inchiesta – spiega Chiocci – e tantomeno l’avvocato lo ha detto a me. Neanche un accenno”.
In realtà Chiocci, quando incontra Carminati, aveva già avuto modo di parlare con il suo braccio “sinistro”, appunto Buzzi. Infatti il 12 marzo era stato scritto sul Tempo dell’appalto della Prefettura di Roma che la cooperativa Eriches 29, riconducibile a Buzzi, era riuscita ad aggiudicarsi. Contro la coop fece ricorso al Tar una concorrente, la Gepsa, e il Tribunale amministrativo ne sospese l’assegnazione. La mattina della pubblicazione, l’autrice dell’articolo contattò Buzzi: “Andava bene l’articolo, vero?” e Buzzi: “Perfetto, sei bravissima”.
Alla domanda se sapesse dei rapporti tra Buzzi e Carminati, oggi Chiocci risponde: “Sapevo che lavoravano insieme”. In che senso? “Non lo so, sapevo solo che erano in affari. Ma non è stato questo l’oggetto del nostro incontro. Volevo solo l’intervista o comunque creare un rapporto per un libro”. Ma secondo il racconto di Chiocci, l’ex Nar si tirò indietro. Lei ha avvertito Buzzi dell’inchiesta su Carminati? Ancora una volta la risposta di Chiocci è: “No”. Ma non è finita qui: tra gli indagati di Mafia capitale c’è anche Gennaro Mokbel, condannato in primo grado a 15 anni per la mega truffa Telekom-Sparkle. Quando scoppia il caso Dell’Utri e viene pubblicata l’intercettazione che citava Mokbel tra coloro che ne organizzarono la fuga in Libano, tutti i cronisti italiani hanno cercato un contatto con Mokbel. Ma l’unico che riuscì a portare a casa l’intervista, pubblicata il 14 aprile scorso, è stato proprio il direttore del Tempo. “Anche in questo caso – spiega – fu il suo legale a dirmi che voleva parlare”.
Non è la prima volta che Gian Marco Chiocci si trova in una situazione imbarazzante. Il suo nome infatti era venuto fuori anche nell’inchiesta P4, senza essere mai indagato. Agli atti è finita una conversazione tra Chiocci cronista e Sallusti direttore de Il Giornale. Il giornalista aveva usato un phone center per dire al direttore di voci su quattro arresti imminenti, uno nei confronti di Daniela Santanchè, compagna di Sallusti. Voci chiaramente infondate. Quel call center però era intercettato in un’inchiesta per droga.