La Stampa, 17 dicembre 2014
Continua l’esodo dal M5S: per la felicità del premier anche Currò lascia i grillini. Renzi: «Quanti lo seguiranno? Non lo so, vediamo, forse qualcuno sì»
Il siciliano Tommaso Currò da trenta secondi non è più grillino, l’aula esplode, scrosci di applausi dei trecento del Pd, insulti degli ex compagni di strada pentastellati. E mentre il suo nuovo sostenitore motiva la scelta sofferta, nel pieno del dramma, Matteo Renzi strizza pure l’occhiolino all’ortodosso capogruppo dei 5 stelle Carlo Sibilia che lo aveva «azzannato» poco prima, sugli esodati, sugli scandali, su un semestre europeo che ha prodotto «il nulla». Così nel suo stile, Renzi si toglie pure la soddisfazione del colpo d’occhio che ferisce. Il premier si gode la scena, ben orchestrata, preparata da giorni. Una scena dal titolo «silenzio parla Currò»: quando arriva il momento e la Boldrini gli dà la parola a titolo personale, dai banchi del Pd si leva un «schhh!!» del regista Ettore Rosato, segretario d’aula e tessitore della manovra. E tutti si azzittiscono, cala il silenzio dei momenti gravi.
«Lo sapevo che avrebbe annunciato questa scelta e per questo li ho incalzati», sorride Renzi mentre sale in auto diretto al Senato. Ma non è un passaggio da poco quello appena consumato nell’emiciclo di Montecitorio, «è un gesto importante sotto il profilo politico, perché lo ha fatto in aula, a viso aperto». Renzi motiva le ragioni della sua soddisfazione, dando una valenza tutta particolare a un segnale che potrebbe produrre un effetto domino. E in vista delle grandi manovre sul Quirinale può essere di buon auspicio. «Ma il mio obiettivo non è numerico», assicura Renzi quando gli si chiede se si aspetta una sequenza di uscite tale da poter produrre un nuovo gruppo alla Camera: che per esser formato necessita di venti deputati. «No, l’importante è far vedere che può succedere. Quanti lo seguiranno? Non lo so, vediamo, forse qualcuno sì», sorride il premier. Che non aggiunge altro, per lui la giornata è già in rosa, l’operazione teatralmente ha funzionato alla perfezione.
A dare il la, è il suo appello ai grillini nel dibattito sul semestre di presidenza europea. Quando dice «non vi hanno eletto per insultare o buttarla in caciara. Abbiamo bisogno anche di voi, se continuerete con le liste di proscrizione, perderete deputati e senatori e non andrete da nessuna parte», Renzi sa dove andrà a parare. Come da copione, poco dopo Currò risponde all’assist, si dissocia dal movimento, annuncia il suo voto favorevole al governo che ha il merito di aver «marcato una discontinuità con le politiche di austerità europee». Appena si siede tutti in piedi dai banchi Pd e piovono gli improperi dagli scranni accanto. Il collega Rizzetto lo difende dagli insulti, La Russa agguanta il microfono e urla, «perché non ti dimetti dal Parlamento?», poi quando esce in Transatlantico gli animi si surriscaldano.
Renzi ripete il copione al Senato e scoppia un’altra bagarre, «perdete pezzi, le vostre urla sono il segno di una frustrazione perché milioni di elettori non vi votano più». Si indigna il premier, mentre lui citava la strage di bambini in Pakistan sente frasi che nessuno poteva permettersi di urlare. «Almeno su questo dovrebbe esserci un limite! Come si fa a dire “pensa ai bambini italiani”, stiamo parlando di vittime di un attentato terroristico!». I grillini smentiscono, sollevano cartelli, «specula sulla tragedia». Ma è solo la cornice. Il quadro più generale lo disegna chi per il premier mena le danze in Parlamento, in vista del big match sul Colle. «È il primo grillino che se ne va via così, senza esser messo all’indice o buttato fuori. Dimostra che lì dentro non si può andare avanti con un gesto che rassicura gli altri che vorranno seguirlo».