Libero, 17 dicembre 2014
Salvatore Buzzi: «Macché Mafia Capitale. Io ho iniziato a fare affari con il Comune di Roma negli anni ’90 e con la giunta di Gianni Alemanno nel 2008. Ben prima che Massimo Carminati iniziasse a collaborare con le mie cooperative, ovvero nel 2011-2012»
«Macché Mafia Capitale. Io ho iniziato a fare affari con il Comune di Roma negli anni ’90 e con la giunta di Gianni Alemanno nel 2008. Ben prima che Massimo Carminati iniziasse a collaborare con le mie cooperative, ovvero nel 2011-2012». Lunedì scorso Salvatore Buzzi dalla sezione di alta sicurezza del carcere di Nuoro Badu ’e carros ha scelto di utilizzare la chiamata che aveva a disposizione per telefonare al suo legale Alessandro Diddi. Una chiamata in cui avvocato e cliente hanno esaminato l’ordinanza che ha portato Buzzi in carcere con 14 capi d’imputazione.
Nei dieci minuti di conversazione il prigioniero ha contestato molti punti. In particolare non accetta di passare per mafioso. «Carminati l’ho conosciuto in carcere e là dentro siamo diventati amici, ma con la destra di Alemanno ho iniziato a lavorarci senza il suo aiuto». In effetti nello specchietto contenuto nella memoria difensiva da presentare al Riesame, l’avvocato Diddi ha inserito l’elenco di tutti gli appalti assegnati a Buzzi dal Campidoglio: 11 dal 1994 al 2000 con Francesco Rutelli (per un valore complessivo di circa 250 mila euro); 60 con Walter Veltroni dal 2003 al 2008 (importo totale circa 6,06 milioni); con Alemanno gli affari migliorano ulteriormente e in poco più di due anni, dal 2008 al 2010, gli incassi (6,2 milioni) superano quelli del lustro veltroniano, con ben 75 appalti; infine, tra il 2011 e il 2013, «grazie» a 21 appalti e alla collaborazione di Carminati, gli affidamenti scendono a 21 e l’importo cala a 3,5 milioni totali. Numeri che, per la difesa, dovrebbero dimostrare che l’appoggio di Carminati non ha cambiato il trend delle cooperative di Buzzi. Per quest’ultimo non è il momento di smarcarsi dall’accusa di essere un corruttore o un finanziatore occulto della politica. Anche se nella memoria difensiva si sottolinea che su 150 appalti pubblici ottenuti «fa certamente impallidire la esiguità degli episodi che – sebbene a livello indiziario possano essere ritenuti gravi – sono oggi contestati a Salvatore Buzzi come corruzioni e turbative di gare». Su questo tema, l’unica questione che Buzzi anticipa con il suo avvocato è che «quelle su Mirko Coratti (ex presidente dimissionario dell’assemblea capitolina ndr) sono tutte chiacchiere». Un’affermazione che potrebbe lasciar intendere che, al contrario, le presunte «stecche» agli altri politici siano argomenti più concreti.
Vedremo nei prossimi giorni. Per ora davanti al gip Buzzi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Quella che, però, non gli è andata proprio giù è la contestazione di essere un ’ndranghetista. «L’imprenditore Giovanni Campennì mi era stato segnalato in Calabria per aiutarmi nella gestione di alcuni appalti che avevo vinto in quella regione. Per stare tranquillo chiesi garanzie sul suo conto in prefettura e nessuno me segnalò come affiliato a una cosca o mi parlò di interdittive antimafia sulla sua azienda». Per questo Diddi, nella sua memoria, parafrasando Carminati, insiste nella distinzione tra il «mondo di sinistra» di Buzzi e «un’ideologia di destra che nell’attualità avrebbe ancora numerosi accoliti». Ma questo pianeta, per l’avvocato, «non ha alcun punto di contatto con le attività svolte da Buzzi e con le attività delle sue cooperative». La violenza apparterebbe «solo ed esclusivamente a quel “mondo di destra”» rappresentato da Carminati & c. Anche perché «mafia e corruzione come due fenomeni criminosi difficilmente conciliabili». La criminalità organizzata, con il suo potere intimidatorio, non ha bisogno di corrompere, mentre «il fenomeno corruttivo si caratterizza per un rapporto paritario tra il pubblico amministratore ed il privato corruttore» scrive Diddi. In quest’ottica, Buzzi, al telefono, ha contestato l’intercettazione in cui sembra auspicare l’uso della violenza contro l’allora amministratore delegato dell’Eur spa Riccardo Mancini. «L’ho terrorizzato a tal punto che alla fine ho accettato di fargli un cospicuo sconto» ha ironizzato il galeotto con il suo avvocato. Il quale puntualizza: «Deve anzitutto essere osservato come, contrariamente agli auspici e le rassicurazioni espresse da Massimo Carminati, il credito è stato esatto da Eriches 29 in seguito ad una transazione con la quale la cooperativa rinunziava a parte del suo credito». Per Diddi la «programmata volontà di “sgozzare” Mancini per farlo strillare come un’aquila» può al massimo essere derubricato come «un maldestro tentativo di esercitare violenza nei confronti della pubblica amministrazione per ottenere il pagamento di un proprio credito».
Buzzi, insomma, non avrebbe «mai inteso spendere la caratura criminale che sarebbe potuta derivare dalla sua conoscenza di Massimo Carminati, come questi, quando si è occupato delle questioni della cooperativa, non ha mai adottato quei metodi che, nel suo mondo, ha utilizzato per il recupero dei crediti». Nella memoria si ammette che Buzzi ha pagato 20 mila euro al mese un rappresentante del clan dei Casamonica, ma per “quieto vivere”: «Il pagamento in questione si rese necessario perché si erano riscontrate gravi difficoltà nei rapporti con la popolazione nomade che aveva variato la propria dimora da Ponte Marconi al nuovo campo di Castel Romano» annota il suo difensore. La mattina del trasferimento il capo dei nomadi avrebbe avuto una lunga discussione con Buzzi, asserendo che «l’amministrazione comunale, in cambio del transito di dimora, aveva assicurato degli indennizzi economici e l’impiego lavorativo per alcuni componenti della comunità» e per questo Buzzi, «nel corso della conversazione affermava più volte che si trattava di una estorsione vera e propria». Così l’uomo delle coop rosse «per sottrarsi a tali ricatti era stato costretto a rivolgersi ad un “mediatore culturale”, identificandolo nel Casamonica Luciano (noto pregiudicato ndr)».
C’è, infine, la questione dei 500 mila euro cash che Buzzi, secondo l’accusa, avrebbe incassato da Carminati: «Quei soldi non li ha dati a me, bensì ha pagato direttamente dei lavori di movimento terra per la realizzazione di un nuovo campo nomadi», ha protestato Buzzi dalla Sardegna. Nel tentativo di smontare l’inchiesta i suoi difensori hanno stilato anche una sorta di classifica della corruzione. «Se si mettono insieme le cifre di cui si parla nelle intercettazioni a proposito del cosiddetto “libro nero” conservato da Nadia Cerrito è difficile – ammesso e non concesso che tutte quelle somme siano state destinate a pagare tangenti – pervenire a una cifra di 500 mila euro». Per i legali, bruscolini se confrontati con i 22 milioni di tangenti riscontrate nella vicenda Mose e l’1,2 milioni di mazzette contestate nell’inchiesta sull’Expo 2015. Una difesa che potrà scandalizzare qualcuno, ma che per Buzzi potrebbe valere la libertà.