La Stampa, 17 dicembre 2014
La vendetta dei Taliban e dei Tehrik. Lo scopo del massacro nella scuola di Peshawar è quello di chiarire ai pakistani che non sono sconfitti, e di avvertire gli Usa che la guerra non è finita
L’attacco di Peshawar è una vendetta e un segnale, lanciato al governo pakistano e a quello americano, alla vigilia del ritiro dall’Afghanistan. Tehrik e Taliban, il gruppo che ha rivendicato il massacro dei bambini nella scuola gestita dalle forze armate, aveva avuto un ruolo anche nell’attentato contro Malala Yousafzai, ma stavolta l’obiettivo non era il sistema dell’istruzione. Lo scopo era far pagare ai militari pakistani l’offensiva contro questa formazione alleata di al Qaeda, chiarire che non è sconfitta, e avvertire gli Usa che la guerra nella regione non è finita. Anzi, il ritiro previsto alla fine dell’anno potrebbe generare una crisi simile a quella dell’Isis in Iraq.
Ttp, la sigla con cui vengono chiamati i taleban del Pakistan, ha le sue origini nell’invasione dell’Afghanistan lanciata dagli americani dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, quando molti comandanti e militanti attraversarono il confine per cercare rifugio nella regione del Waziristan. Per anni l’intelligence aveva pensato che lo stesso Osama bin Laden fosse nascosto tra quelle montagne, prima di scovarlo e ucciderlo ad Abbottabad.
La nascita ufficiale di Tehrik i Taliban, però, viene fatta risalire al 2007, quando Baitullah Mehsud ne divenne il capo. Il gruppo lanciò una serie di attacchi, come quando prese ostaggi nel quartier generale delle Forze Speciali pakistane a Rawalpindi, ed è sospettato di aver organizzato anche l’attentato che nel dicembre del 2007 uccise la ex premier Benazir Bhutto. Baitullah fu ucciso da un drone americano nell’agosto del 2009, così come il suo successore, Hakimullah Mehsud, nel 2013.
All’inizio dell’anno il premier Nawaz Sharif aveva tentato di aprire il dialogo con il Ttp, e a febbraio c’era stato un incontro a Islamabad fra i negoziatori governativi e gli emissari dei taleban. Da una parte, però, Sharif era finito subito nel mirino di chi lo accusava di essere troppo morbido con i terroristi; dall’altra Tehrik e Taliban si era spaccato, fra chi rifiutava persino l’idea di parlare e chi invece l’accettava, a patto che sul tavolo ci fosse la creazione di un governo islamico aderente alle regole più strette della sharia. I colloqui così erano finiti prima ancora di cominciare, perché l’appuntamento di febbraio doveva servire a definire una «road map» per la trattativa che poi non era mai stata percorsa.
Il governo aveva reagito intensificando le operazioni militari, con l’aiuto degli americani, per sconfiggere e cancellare Tto. L’offensiva ha avuto successo, eliminando molti militanti e mettendo il gruppo in un angolo. Da qui è nato l’attacco alla scuola di Peshawar, che uno dei comandanti di Tehrik e Taliban, Jihad Yar Wazir, ha rivendicato così: «Volevamo che i militari pakistani provassero il nostro stesso dolore, quando i loro bombardamenti uccidono i nostri figli. Siamo pronti ad una lunga guerra contro lo Stato fantoccio americano del Pakistan». Una minaccia che pesa anche sul ritiro Usa dall’Afghanistan.