Il Messaggero, 17 dicembre 2014
Intervista al ministro dell’Economia Padoan: «Nel 2015 il debito crescerà ma i cittadini avranno più soldi in tasca. Poste, Enav e Ferrovie: ecco le privatizzazioni del prossimo anno. E saranno cambiate le attuali regole per vendere gli immobili del demanio»
Rublo in picchiata, petrolio che in pochi mesi ha quasi dimezzato il prezzo, Mosca nei guai anche a causa delle sanzioni: ministro Pier Carlo Padoan, una fine d’anno indubbiamente agitata. Quanto devono essere preoccupati gli italiani?
«Il giusto, ma senza esagerare. Perché se è vero che le criticità russe possono incidere temporaneamente sull’economia europea creando qualche difficoltà, dalla caduta del prezzo del greggio l’Italia potrebbe ricavare soprattutto benefici. C’è una scuola di pensiero secondo la quale un petrolio stabilizzato attorno a 60 dollari produrrebbe una crescita dello 0,5% del nostro Pil».
Resta il fatto che le difficoltà russe potrebbero degenerare. Il default non è poi così lontano. Non crede sia esagerata l’entità delle sanzioni inflitte a Mosca dall’Occidente?
«Era un passo obbligato, per Europa e Stati Uniti. Di fronte alla vicenda ucraina sarebbe stato grave non intervenire. Al tempo stesso non si può non pensare al disgelo. Ricordo che fino a poco tempo fa sembrava un fatto acquisito una Russia a pieno titolo nel novero della comunità internazionale. Ora dobbiamo recuperare quella dimensione».
Preoccupato per la crisi greca? Le elezioni alle porte potrebbero riservare una cattiva sorpresa per l’euro.
«In Grecia la situazione politica è indubbiamente delicata, ma la situazione in Europa è molto diversa da quella del 2010-2011».
E le minacce di Alexis Tsipras alla permanenza della troika nell’eventualità il suo partito dovesse vincere le elezioni?
«Temo che i giornali abbiano esagerato sulle sue reali intenzioni. Di recente il leader di Syriza ha fatto dichiarazioni molto responsabili, da uomo di Stato. Il caso merita naturalmente attenzione: nessuno ignora le difficoltà in cui si dibatte la Grecia».
Quindi non ci sarà bisogno del bazooka di Mario Draghi per salvare l’euro?
«Le ragioni per le quali la Bce scenderà probabilmente in campo sono svariate. Per esempio, il tema della deflazione in tutta Europa va affrontato con decisione: le crisi locali vengono dopo».
Standard & Poor’s ha declassato il nostro debito italiano avvicinandolo pericolosamente al livello di spazzatura, quasi ignorando i progressi compiuti dall’Italia sul fronte dei conti interni, a cominciare da un avanzo primario che altri ci invidiano. Non è giunto il momento di mettere mano al debito? Siamo oltre 2.150 miliardi.
«E crescerà ancora, probabilmente per buona parte del 2015. Solo nel 2016 la curva del debito comincerà a cadere in modo significativo. E poiché la crescita è il fattore determinante nel processo di riaggiustamento, fino a quando il Pil non avrà riconquistato stabilmente il segno più è impensabile che si riesca a migliorare significativamente la situazione. Come ho già spiegato, basterebbe una crescita dell’1% e un’inflazione vicina al 2% per ricondurre il problema debito entro limiti di assoluta tranquillità. Sono obiettivi del tutto raggiungibili, soprattutto in relazione a quanto il governo sta facendo per rilanciare la crescita».
Dunque, dovremmo attendere che la crescita sia tornata visibile? Non crede che i mercati vogliano anche altro? Magari un segno più tangibile della volontà degli italiani di ridurre, anche in valore assoluto, il loro enorme debito?
«Non ho mai detto che la crescita sia la sola via. Ho parlato di via maestra, naturalmente ci muoviamo anche in altre direzioni. A esempio in quella della valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato. O del collocamento in Borsa di quote importanti di partecipate pubbliche».
A proposito di valorizzazione del patrimonio immobiliare, più volte quest’anno si è parlato di cessioni sul mercato allo scopo di ridurre il debito. Finora si è però visto assai poco.
«Sgombriamo il campo da un luogo comune: di fronte a un mercato che tra il 2011 e il 2014 ha registrato transazioni destinate all’investimento per 8,5 miliardi, a un patrimonio totale dei fondi immobiliari per 40 miliardi, a un valore complessivo delle Sic quotate per 3,5 miliardi, pensare di immettere sul mercato immobili per centinaia di miliardi fa sorridere. Sarebbe già un gran risultato riuscire a racimolare un paio di miliardi l’anno».
Il problema però resta. Che cosa vuol dire valorizzazione?
«Vuol dire mettere a reddito i cespiti più appetibili, collaborare con i Comuni per cambiare la destinazione d’uso degli immobili del demanio militare che spesso sono allocati in zone particolarmente pregiate delle città ma di fatto sono inutilizzabili. Su questo fronte ci stiamo muovendo concretamente: quanto prima partirà la revisione del Testo unico che disciplina questa materia per semplificarla. Inoltre, introdurremo incentivi per i Comuni più solerti oltre a mobilitare la Cassa depositi e prestiti, che sta già lavorando sul tema, e il fondo dei fondi della società Invimit».
E poi ci sono i collocamenti sul mercato delle aziende controllate dal Tesoro. Il 2014 non è però stato molto incoraggiante.
«Il mercato non ci è stato favorevole. Tuttavia abbiamo quotato Fincantieri e Rai Way, ques’ultima in particolare ci ha dato grande soddisfazione. Per il 2015 abbiamo tre opzioni: Poste, Enav e probabilmente Fs».
Niente più collocamenti di Eni o Enel?
«Per il momento abbiamo in programma soltanto una quota di Enel, naturalmente il timing verrà deciso in considerazione del trend di Borsa. Come sempre, l’obiettivo è valorizzare al meglio, non svendere. E c’è un altro obiettivo, altrettanto importante: le privatizzazioni migliorano l’efficienza delle aziende e dei mercati nei quali operano».
Poste, Enav e Ferrovie: avete già deciso la percentuale di capitale che verrà quotata?
«No, ma presumibilmente si tratterà del 40% di Poste, del 49% di Enav e di una partecipazione non lontana dal 40% di Fs».
Secondo il Def l’obiettivo 2015 di realizzo delle cosiddette privatizzazioni è di circa 10 miliardi. Conferma?
«È l’obiettivo, naturalmente dovremo fare i conti con il mercato. Ma siamo fiduciosi».
Tra pochi giorni scade il semestre italiano alla guida del Consiglio europeo. Non tutti sembrano soddisfatti dei risultati ottenuti dal governo Renzi.
«Ricordo che in Europa come in Italia non esistono bacchette magiche e i risultati non si manifestano da un giorno all’altro. Il lavoro che però abbiamo condotto sta già contribuendo a cambiare l’orientamento del Paese e delle istituzioni comunitarie: sei mesi fa crescita e investimenti erano temi del tutto estranei alla prospettiva di Bruxelles».
Converrà che se il risultato è il Piano Juncker o una flessibilità sugli investimenti pubblici sbandierata solo a parole, non c’è da stare molto allegri.
«Il piano è un primo passo utile. Intanto la task force europea nata su iniziativa italiana ha individuato progetti meritevoli di investimento. In attesa dei dettagli sul funzionamento del piano, la Bei può partire da lì. Spesso i giornali sottovalutano i piccoli cambiamenti quotidiani, preferiscono esaltare gli scontri apparenti, mentre in Europa abbiamo soprattutto bisogno di costruire fiducia reciproca».
Ministro, davvero pensa che gli 80 euro in più nelle buste paga di una parte dei lavoratori possano bastare a rilanciare i consumi nel nostro Paese? Lei è uomo di economia...
«Intanto in non poche famiglie, dove lavorano in due, non arrivano solo 80 euro bensì 160. In secondo luogo, pagati i debiti che possono essersi accumulati nella fase peggiore della crisi, è difficile immaginare che quei denari non vengano spesi. E visto che in busta paga ci saranno anche negli anni a venire, qualche effetto lo produrranno. Ne sono certo. Per non parlare del fatto che inciderà non poco anche il taglio dell’Irap sul lavoro».
Come vede l’Italia del 2015?
«Sarà un’Italia più efficiente, più semplice, nella quale circoleranno cittadini con più soldi in tasca e le imprese che pagheranno meno tasse. Ora debbo lasciarla, ho un appuntamento al Quirinale».
Per restarci? Lei sa che circola anche il suo nome tra i candidati alla successione del presidente Giorgio Napolitano?
(Contenuta risata e subito una calorosa stretta di mano).