Libero, 17 dicembre 2014
Quei ricchi correntisti russi che hanno svuotato i loro conti per precipitarsi nei grandi magazzini e fare incetta degli ultimi Gucci, Rolex o Hermès. E gli altri che sono corsi a riempire i carrelli della spesa, temendo una prossima impennata dei prezzi degli alimenti, un po’ per effetto dell’embargo, un po’ per il crollo del rublo. I tassi aumentano, i capitali escono e Putin sembra alle corde. Ma guai a sottovalutare il presidente
Alle due del mattino di martedì, nella gelida notte di Mosca, si sono create immense code agli ingressi dell’altrettanto immensa sede dell’Ikea della capitale. Non erano ancora passate due ore dall’annuncio dell’aumento del tasso di sconto dal 10,5 al 17 per cento per difendere il rublo. Più che sufficienti, però, per far scattare la risposta dei consumatori: meglio comprare adesso tutto quel che si può perché domani tutto costerà di più. O forse, esauriti gli stock, resterà ben poco da comprare come ai tempi della vecchia Unione Sovietica.
La scena, a legger le cronache, si è ripetuta un po’ ovunque. Agli sportelli di Sberbank, la prima banca del Paese, si è formata una lunga fila di clienti che ritiravano i contanti o cercavano di cambiare rubli in dollari (non più di mille per ciascuno). Il direttore generale della Oktrikie Bank, Artom Zitov, ha confessato a Bloomberg che i prelievi sono stati almeno 4 volte superiori alla media. Gli stessi correntisti, una volta usciti dalla filiale, si sono precipitati nei grandi magazzini della Stazione Kursky per far incetta degli ultimi Gucci, Rolex o Hermès. Naturalmente si parla dei più abbienti. Gli altri si sono limitati a riempire i carrelli della spesa, temendo una prossima impennata dei prezzi degli alimentari, un po’ per effetto dell’embargo (a tal proposito Obama ha annunciato che firmerà nuove sanzioni), un po’ per il crollo del rublo, moneta dal valore impazzito: 50 per un dollaro in prima mattina, poi 60. e 70 fino ad un massimo di cento per poi calare verso sera a 67.
Ecco, si può partire dallo sgomento della gente comune per raccontare la crisi drammatica della Russia di Vladimir Putin, zar dalle tasche vuote ma dai magazzini pieni fino all’orlo di petrolio che vale di meno. Nella notte tra lunedì e martedì il governatore della banca centrale. Elvira Nabiullina, ha alzato i tassi per la seconda volta in cinque giorni per evitare l’emorragia delle riserve valutarie. La Russia, il cui export dipende per il 75% dal petrolio, che garantisce anche il 50% delle entrate del bilancio statale, è stata messa in ginocchio dal crollo delle quotazioni del greggio, dai 112 dollari di giugno ai 60 (o anche meno, a tratti) di ieri. Se i prezzi resteranno a questi livelli, scrive la banca centrale, l’anno prossimo l’economia russa arretrerà del 4,54%.
Un disastro, da evitare a ogni costo anche se il costo del denaro alle stelle minaccia di far saltare la spesa sociale e di tagliare il livello di vita di buona parte dei russi. Ma a questo Putin penserà più avanti. Ora è più urgente frenare l’uscita dei capitali. Certo, il Cremlino, a differenza dei tempi di Boris Eltsin, può disporre di grosse riserve valutarie (416 miliardi di dollari). Ma banche e società private, comprese quelle più vicine al presidente, devono pagare, entro il 2015, 134 miliardi di interessi in dollari a fronte di 600 miliardi di debiti.
La situazione non è disperata come nel 1998, quando la crisi della finanza russa mise a serio rischio le banche Usa. Ma mette a repentaglio la presa, per ora solidissima, del presidente sulla pubblica opinione. La popolarità, a leggere i sondaggi, è ancora alta. Ma, accanto all’ondata di nazionalismo e al rancore verso il «complotto» Usa (accusati da Putin di essere all’origine del tonfo del greggio), prende quota una certa disillusione: di questo passo, la nascente piccola e media borghesia russa dovrà dire addio alle conquiste di questi anni, dagli abiti occidentali alle auto d’importazione. Anche perché l’economia, già in pesante frenata, dovrà ora fare i conti con un costo del denaro proibitivo: il costo del denaro per l’edilizia, secondo i primi calcoli, sarà ritoccato al 25-28%, costringendo quasi tutti i cantieri privati allo stop. E, vista la stretta, è assai difficile che l’investimento pubblico possa prendere il suo posto.
Insomma, a prima vista, Putin sembra alle corde. Ma guai a sottovalutare il presidente.