Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2014
Il Pakistan ha da poco ottenuto fondi per quasi 2 miliardi di dollari dagli Stati Uniti. Per la lotta al terrorismo dall’11 settembre ne ha già ricevuti 28. Ora Islamabad paga il prezzo di quest’alleanza
La carneficina di Warsak Road è il tragico segnale di un cambiamento epocale: Stati Uniti, Afghanistan e Pakistan, 13 anni dopo l’11 settembre, hanno deciso di collaborare davvero nella lotta al terrorismo. La scuola di Peshawar, hanno affermato i talebani pakistani, è stata scelta proprio perché frequentata dai figli di alti ufficiali; è un istituto che con altri 140 scuole fa parte di quelle forze armate che costituiscono dall’indipendenza nel 1947 la spina dorsale del Paese e ora hanno abbracciato una nuova strategia dando la caccia ai fondamentalisti islamici. Oscurato dalle atroci imprese del Califfato e dalla loro diffusione mediatica, il sanguinoso confine tra Pakistan e Afganistan era caduto nell’oblio dell’Occidente ma qui da oltre un decennio si sta combattendo una delle guerre al terrorismo più devastanti del pianeta. La strage di Peshawar non è certo causale: è la vendetta dei Talebani pakistani (Tehrik-e-Taliban Pakistan, TTP) per le vaste operazioni militari in Waziristan condotte dalle forze armate di Islamabad con gli Stati Uniti in vista del parziale ritiro dall’Afghanistan nel 2015. I militari Pakistani e i loro potenti servizi di intelligence per anni sono stati accusati dagli Stati Uniti, dall’Afghanistan e dalla Nato, di fare il doppio gioco: aiutare da un lato la coalizione internazionale anti-terrorismo e dall’altro consentire ai talebani afghani e ad Al Qaeda di trovare rifugio e appoggio logistico nell’area tribale pakistana dove il potere reale è in mano ai clan dell’etnia pashtun. I talebani erano una creatura pakistana, i politici di Islambad hanno sempre intrattenuto rapporti ambigui con Al Qaeda e persino l’attuale premier Nawaz Sharif aveva ottimi rapporti con Osama bin Laden. Dopo la caduta di Kabul nel 2011, la pakistana Quetta era diventata la sede del consiglio della Shura talebana e in molti dicono che fosse il rifugio del Mullah Omar. Ospitando i talebani, il Pakistan ha tenuto sotto tiro i governi di Kabul assicurandosi quella “profondità strategica” necessaria per contrapporsi all’altra superpotenza nucleare della regione, l’India. Con l’ascesa a capo delle Forze armate del generale Raheel Sharif le cose sono cambiate. In mezzo allo scetticismo generale e al silenzio dei politici, Sharif ha lanciato una vasta offensiva contro i talebani con l’appoggio degli Stati Uniti e ora anche dell’Afghanistan. Il generale ha convinto i vertici dell’esercito che bisognava mutare registro nell’interesse stesso del Pakistan e dei suoi rapporti internazionali perché il Paese rischiava l’isolamento. Gli americani hanno dato fiducia a Sharif. Washington ha coordinato con il Pakistan le incursioni dei droni, limitando le vittime civili, altamente impopolari, e i risultati si sono visti: in poche settimane sono stati uccisi due leader di Al Qaeda mentre al Pakistan è stato consegnato, con l’assenso del governo di Kabul, il numero due di talebani pakistani, Latif Meshud. E sono anche arrivati i soldi. Il generale Sharif è stato da poco a Washington per incontrare il segretario di Stato John Kerry ottenendo fondi per quasi 2 miliardi di dollari per la lotta al terrorismo: dall’11 settembre il Pakistan ne aveva ricevuti 28 ma erano serviti a ben poco. I talebani hanno capito che questa volta si fa sul serio e hanno lanciato la loro feroce controffensiva a Peshawar. Il segnale vero del cambiamento però non sarà militare ma politico: quando Islamabad consentirà al governo di Kabul di negoziare direttamente con i talebani rifugiati in Pakistan. Allora forse si comincerà a intravedere l’inizio della fine di una guerra che insanguina questa parte di mondo da due generazioni.