Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Anche gli Emirati Arabi Uniti avranno il loro Louvre. Il museo francese ha ceduto il nome per 400 milioni di euro. Con la cultura si mangia eccome...

   La “piccola rivoluzione” del Louvre – che ha ceduto l’utilizzo del suo nome agli Emirati Arabi Uniti in cambio di oltre 400 milioni di euro – racconta diverse cose. Intanto che con la cultura, al contrario di quanto sosteneva l’ex ministro Giulio Tremonti, si mangia eccome: questa iniezione di denaro servirà a ristrutturare il museo parigino (oltre cinquanta milioni nei prossimi due anni renderanno “l’arte più accessibile, aiutando i visitatori a orientarsi meglio”, spiega il direttore Jean-Luc Martinez). Poi c’è l’impatto di questa operazione, che parlerà a quel mondo dell’arte schiacciato dalla recessione, superando così i confini della piramide di vetro più visitata del pianeta. L’idea è semplice: Abu Dhabi sta costruendo un complesso culturale, Saadiyat Island, che includerà il Zayed National Museum, una versione del Guggenheim di New York e una proprio del Louvre. Quest’ultima sarà pensata e allestita assieme ai francesi, che per 700 milioni di euro presteranno opere d’arte agli arabi e li assisteranno nell’installazione di mostre speciali.
   “La Francia ha risposto molto bene a questa opportunità, ora tocca ad altri Paesi seguirne l’esempio”, dice al Fatto Quotidiano Jean Nouvel, il pluripremiato architetto che ha il compito di esportare il celeberrimo capolavoro di Ming Pei nella capitale degli Emirati Arabi. E arriva una stoccata all’Italia, che oltre a investire solo lo 0,2 del proprio Pil nei beni culturali (un quinto rispetto ai francesi), assiste rassegnata al crollo del proprio patrimonio artistico, dal caso eclatante di Pompei agli affreschi degli Uffizi che si sbriciolano, dal degrado delle chiese barocche di Napoli a quel mausoleo di Augusto che non è riuscito a riaprire al pubblico nell’occasione (piuttosto prevedibile) del bimillenario dalla morte dell’imperatore. E ai critici che contestano la “svendita” di un simbolo dell’arte globale come il Louvre, Nouvel – premio Pritzker e Leone d’oro alla carriera – ricorda che sono gli arabi oggi a vivere l’età dell’oro. E che abbiamo tutti qualcosa da guadagnare.
   Jean Nouvel, quanto pesa la responsabilità di quest’opera?
   Quando ho iniziato questo progetto non sapevo ancora in che cosa sarebbe sfociato, perché c’era in gara anche l’Hermitage. Pensavo solo a un museo delle civilizzazioni. Chiaramente ho provato una forte emozione quando ha vinto il Louvre, essendo io francese. Questo sarà il museo dove si incontreranno civiltà diverse: spero diventi uno strumento di dialogo.
   Il Louvre è il museo più emblematico del mondo. Che rischi ci sono ad avere un gemello ad Abu Dhabi su cui ha un controllo relativo?
   Non credo ci siano pericoli, al contrario. La vocazione di un’istituzione come il Louvre è proprio di diffondere il più possibile l’arte e di far conoscere il proprio patrimonio di esposizioni. C’è stato un grande dibattito in Francia perché in molti non vogliono prestare le opere agli Emirati, ma io non capisco questo ragionamento. Le mostre sono totalmente universali, ed esportarle così da raggiungere il più alto numero di persone dovrebbe essere il compito, la responsabilità dei musei importanti come il Louvre.
   Sarà un’opera francese trapiantata ad Abu Dhabi?
   Per nulla. Un museo deve appartenere al territorio che lo ospita, deve rispettare la civiltà che lo crea. Io non credo all’architettura senza radici. Voglio assolutamente che Abu Dhabi abbia un museo che racconti l’età dell’oro che sta vivendo. Per me è soprattutto una città nella sabbia. Un quartiere, piuttosto che un palazzo. La cupola bianca rappresenta la civilizzazione araba. Ho lasciato filtrare la luce per creare l’ombra. Tu ti nascondi nell’ombra per proteggerti dal caldo, ma hai bisogno di luce per vedere. È la luce che cerca l’ombra, come quella che troviamo nei suk. L’universalità del Louvre è proprio questa: può essere presente in vari posti, con un’attitudine che si relaziona ogni volta alle culture locali.
   In Italia il patrimonio artistico è agonizzante. Pensa che potremmo anche noi esportare i musei?
   È una questione di atteggiamento. Se c’è la volontà, questa idea si può applicare a tutti i grandi musei. Penso che questo paradigma funzionerebbe in tutto il mondo, figuriamoci in un Paese come l’Italia.
   Come si fa?
   Bisogna instaurare una politica culturale internazionale che coltivi relazioni tra i vari paesi. Poi si deve capire quali siti possono accogliere i vostri capolavori. Anche perché l’obiettivo non è solo dare vita a un museo satellite, ma creare una mentalità in cui tutti si arricchiscono. Siamo di fronte a una civilizzazione che sta andando sempre più in profondità nel campo culturale, e che è disposta a investire moltissimo per riuscirci. Perché non incentivare una politica che aiuti questo processo? Noi siamo sulla buona strada, vediamo chi ci segue.