il Giornale, 16 dicembre 2014
Australia, l’isola dove è garantita libertà di predicare e reclutare a favore del Califfato. Ecco chi sono i jihadisti che hanno seminato il terrore in nome dell’Isis
L’autoproclamato predicatore con sangue calabrese nelle vene, che si fa immortalare a San Pietro con la stessa bandiera nera usata dal terrorista del caffè di Sydney. Un centinaio di giovani australiani partiti per arruolarsi nelle fila del Califfato in Siria ed Iraq. Un loro seguace in patria arrestato prima che cominciasse a sgozzare gente per strada. E i proclami del Califfo, che incitano ad esportare la guerra santa in Australia, sono gli esempi più evidenti di come l’Isis faccia proseliti nell’isola dove è garantita libertà di predicare e reclutare a favore del Califfato.
Il 13 novembre Abu Bakr al Baghdadi, il capo dell’Isis, ha annunciato con un audio: «L’America, l’Europa, l’Australia, il Canada e i loro schiavi tra i governanti delle terre d’Islam saranno terrorizzati dallo Stato islamico». Due mesi prima il portavoce, Abu Mohammad al Adnani, aveva invitato i seguaci del Califfato a massacrare i civili in varie nazioni inclusi Australia e Canada. In ambedue i paesi lupi solitari hanno messo in pratica l’appello jihadista. Nel 2012 l’autoproclamato predicatore australiano di sangue calabrese, Musa Cerantonio, si era fatto immortalare davanti a San Pietro con una bandiera nera dell’Islam, che riportava in caratteri arabi la professione di fede musulmana. La foto è stata pubblicata su una pagina Facebook di un convertito italiano trovando proseliti, la scorsa estate, durante l’avanzata dell’Isis in Iraq. Gli ostaggi del pseudo predicatore terrorista del bar di Sydney sono stati costretti a esporre una bandiera uguale con la stessa scritta «Non c’è altro Dio al di fuori di Allah…».
Cerantonio, 29 anni, aveva un grande seguito sui social network grazie ai suoi proclami pro Isis. In luglio ha annunciato di essere andato a combattere in Siria, ma in realtà si nascondeva nelle Filippine. Una volta arrestato è stato rispedito in Australia dove vive sotto sorveglianza. Una settimana fa ha ricominciato a postare proclami rivolti ai mujaheddin della guerra santa.
In Siria ed Iraq sono andati a combattere veramente un centinaio di giovani australiani. In agosto Khaled Sharrouf ha twittato una foto orribile di suo figlio, che ha appena 7 anni e regge con due mani la testa mozzata di un soldato siriano. Il jihadista era stato arrestato per terrorismo nel 2009, ma poi è riuscito a lasciare l’Australia con il passaporto del fratello. Mohammad Ali Baryalei si è fatto filmare per le strade delle città australiane, mentre cercava di reclutare adepti per lo Stato Islamico. Poi è partito per la Siria, dove avrebbe trovato la morte a metà ottobre, come una quindicina di connazionali jihadisti. Abdullah Elmir, 17 anni, convertito di Sydney, ha postato in ottobre un video su You Tube girato in mezzo ai combattenti dell’Isis. Armato di kalashnikov invia un messaggio «al popolo australiano» e al premier Tony Abbott, che ha spedito soldati e aerei in Iraq per fermare il Califfato. «Non smetteremo di combattere fino a quando non avremo raggiunto il vostro paese e la bandiera nera sventolerà su ogni singolo territorio» minaccia in perfetto inglese il mujahed di Sydney.
Il 18 settembre l’antiterrorismo di Camberra ha lanciato con 800 uomini una vasta operazione. Omarjan Azari, un giovane musulmano di 22 anni nato in Australia, si stava preparando a decapitare qualsiasi suo concittadino, che gli sarebbe capitato a tiro per strada, raccogliendo l’appello del Califfato per scatenare il terrore in Occidente.