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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Un passivo di 100 milioni occultato con trucchi immobiliari. Ecco le carte della truffa Coop. Molte imprese sono vicino alla bancarotta

Cooperative in concordato preventivo, in liquidazione coatta, già fallite. Amministratori sotto inchiesta per bancarotta, falso in bilancio, corruzione, che usano i soldi dei risparmiatori per spericolate speculazioni finanziarie e tangenti. Immensi capitali spariti, miliardi di debiti accumulati, centinaia di migliaia di soci e risparmiatori traditi nella loro incrollabile buona fede. Migliaia di posti di lavoro perduti. Le coop rosse non sono state risparmiate dalla crisi ma non è tutta colpa della crisi se ballano sull’orlo del crac.
IL CASO A TRIESTE
Il caso più recente di un tracollo cooperativo è scoppiato a Trieste, dove le Coop Operaie sono state ammesse al concordato preventivo. A sentire i capi di Legacoop, la crisi ha colpito soltanto l’edilizia. Ma quella giuliana è una coop di consumo, che gestisce un ipermercato e vari supermarket nell’intera regione. E non è l’unico dissesto nella grande distribuzione: alla Coop Sicilia, per esempio, nonostante chiusure di punti vendita e fusioni è stato dichiarato in esubero il 15 per cento dei lavoratori. Coop Sicilia ha chiuso il 2013 con una perdita di 18 milioni di euro.
A Trieste sono spariti 103 milioni di euro, 600 dipendenti rischiano il posto e 17mila tra soci e «prestatori sociali» potrebbero non rivedere i propri soldi. In questo crac la congiuntura economica c’entra fino a un certo punto. Come ha accertato la procura di Trieste che ha indagato per falso in bilancio il presidente delle Coop Operaie, Livio Marchetti, le perdite di esercizio accumulate sono state coperte con finte vendite d’immobili. È un meccanismo da vecchie volpi del capitalismo finanziario, non da una società mutualistica che dovrebbe avere come stella polare gli intenti dei «probi pionieri di Rochdale», ovvero i lavoratori britannici che fondarono la prima cooperativa nel 1844: «Adottare provvedimenti per assicurare il benessere materiale e migliorare le condizioni familiari e sociali dei soci». Che cos’hanno fatto invece a Trieste? Hanno ceduto alcuni immobili a società controllate al 100 per cento: li hanno cioè passati dalla mano sinistra a quella destra, ma in questo trasferimento hanno contabilizzato un maggior valore di 15 milioni. Una plusvalenza fittizia, un colpo di cipria sui bilanci tenuto nascosto ai soci. Chi doveva controllare l’ha fatto male o ha chiuso gli occhi. A cominciare dai revisori incaricati da Legacoop per finire con la regione Friuli Venezia Giulia governata da Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd, che ha compiti di vigilanza sulle coop fissati da una legge regionale del 2007.
Il patrimonio netto, che a Trieste hanno aggiustato con presunte irregolarità, è ciò che tutela chi conferisce denaro, cioè soci e prestatori. Con le quote e il prestito sociale le coop si autofinanziano senza bussare alle banche, un privilegio che consente loro – pur non essendo banche – di rastrellare risparmi gravati da aliquote più favorevoli e sottratti alla vigilanza creditizia. È con questo tesoretto che Unipol voleva dare la scalata a Bnl. Ma il prestito sociale non è tutelato da un fondo nazionale di garanzia come i conti correnti bancari. Quando è scoppiato lo scandalo di Trieste è partita la corsa a ritirare i soldi prestati anche ad altre cooperative. E questo ha costretto una coop di Udine, la Coop Carnica, a chiedere il concordato preventivo per improvvisa mancanza di liquidità.
Al tribunale di Ferrara si terrà in febbraio l’udienza preliminare per i vertici della Cmr di Filo d’Argenta che prese il posto della Coopcostruttori di Giovanni Donigaglia, travolta dal primo grande crac di una coop rossa. Sono 12 gli indagati per i quali i pm chiedono il processo, un buco di 100 milioni di euro, 300 creditori tra dipendenti e fornitori, 21 i capi di imputazione. Le accuse più gravi sono bancarotta fraudolenta per distrazione, dissipazione e preferenziale: beni patrimoniali della coop sull’orlo del crac furono svenduti ad amici e creditori «privilegiati». La Cmr doveva segnare il riscatto della cooperazione a Ferrara dopo il crac della Costruttori e riconquistare la fiducia di chi aveva creduto nel sistema mutualistico. L’esito è stato l’opposto.
COSTRUTTORI IN LIQUIDAZIONE La Cesi di Imola, colosso delle costruzioni, è in liquidazione amministrativa coatta: debito di 375 milioni e 403 lavoratori che rischiano il posto; 301 di essi sono anche soci che potrebbero rimetterci anche 9 milioni di capitale sociale. La Coop Ceramica ha dichiarato 540 esuberi. La Iter di Lugo di Ravenna, altra coop edile, è in concordato preventivo con 243 lavoratori cassintegrati: una crisi che secondo i sindacati «è figlia anche dei vari dirigenti che si sono succeduti fino a oggi».
Ha chiesto il concordato anche la 3Elle di Imola (serramenti), 262 dipendenti di cui la metà in bilico. I soci lavoratori hanno dovuto versare in media 45mila euro; alcuni (come risulta dalla differenza tra capitale sottoscritto e versato) devono ancora completare i conferimenti a rate: verseranno denaro a perdere. Nella «coop valley» di Imola, negli Anni 90 guidata dall’attuale ministro Giuliano Poletti, sono a rischio un migliaio di posti di lavoro nell’edilizia e nella ceramica.
AMMORTIZZATORI SOCIALI Il concordato preventivo ha evitato il fallimento a giganti di Legacoop come Coopsette e Unieco di Reggio Emilia, nella «top ten» dei «general contractor» italiani: complessivamente avevano 2.500 dipendenti e un miliardo 200 milioni di debiti verso banche, fornitori, lavoratori e soci. L’elenco delle coop sull’orlo del crac è lunghissimo: Cmr di Reggiolo, Orion, Cfm, Nest, Nodavia, Cormo, Ccpl, Tre Spighe, Cdc. Soltanto in provincia di Bologna sono 23 le socie di Legacoop con ammortizzatori sociali (cassa integrazione, contratti di solidarietà, mobilità) per 1.796 lavoratori. Davanti ai capannoni i sindacalisti picchettano gli ingressi come se si trovassero ai cancelli Fiat e non a quelli dei compagni cooperatori.
LA MANO DEI PM Dove non è arrivata la crisi e la cattiva gestione sono piombate le inchieste giudiziarie. Le indagini sui lavori per il Mose di Venezia, per l’Expo di Milano, per l’alta velocità ferroviaria tra Emilia e Toscana coinvolgono sempre, a vario titolo, qualche amministratore di cooperative rosse. E poi gli appalti nelle Asl di Brindisi, il porto di Molfetta, il «sistema Sesto» fino a Terremerse, la coop romagnola presieduta da Giovanni Errani e finanziata dalla regione Emilia Romagna del fratello-governatore Vasco, il quale si è dimesso dopo la condanna in appello per falso ideologico. «La coop sei tu» diceva la pubblicità. Ma tra inchieste e fallimenti, la coop non è più lei.