Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Traffico di gasolio. Quella nave fantasma, affondata nel 2013, che veniva regolarmente rifornita. Una truffa da 7 milioni e mezzo di euro ai danni della Marina militare. Tra i sei arresti, tre ufficiali. Indagato anche il direttore del Tempo

 Persino una nave affondata nel settembre 2013, la Victory I, era tra i «clienti» del gruppo d’affari arrestato ieri che comprendeva anche alcuni militari della Marina. La nave risultava rifornita sia prima sia dopo il naufragio, tanto che, i dieci indagati a vario titolo per truffa aggravata e frode nelle pubbliche forniture hanno guadagnato illecitamente da una vendita complessiva di 9.623.560 chili, un «profitto ingiusto» di 7 milioni e mezzo di euro.
GLI ARRESTATI
Agli arresti sono finiti Mario Leto e Sebastiano Distefano, rispettivamente capitano di Corvetta della Marina Militare, capo deposito della direzione di commissariato militare marittimo di Augusta, e primo maresciallo della Marina militare, capo reparto del reparto combustibili, insieme al maresciallo Salvatore Mazzone. Ordinanza di custodia cautelare anche per Lars P. Bohn, titolare dell’appalto della Difesa con la sua Supply as, e i broker Massimo Perazza e Andrea D’Aloja. Proprio Perazza, detto «Massimo il romanista», aveva rapporti con Roberto Lacopo, proprietario del distributore di benzina di Corso Francia che era poi il vero quartier generale del Nero Massimo Carminati.
L’INCHIESTA
L’indagine del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Roma parte da un accertamento presso lo Stato maggiore della Marina militare dello scorso 30 gennaio. L’analisi dei riscontri cartacei dimostra che tra il 5 aprile 2012 e il 18 dicembre 2012 sulle carte della Marina risultano dodici rifornimenti presso il deposito Augusta San Cusumano, per un quantitativo di 11mila tonnellate metriche e una spesa pari a quasi 9 milioni di euro. Le banche dati, però, hanno traccia solo di tre forniture mentre quelle alla Victory 1, affondata nel 2013, non sono mai state effettuate.
Il gip Alessandro Arturi sottolinea che una delle caratteristiche principali di questa organizzazione è la sua capacità di lavorare parallelamente lecitamente ed illecitamente, su un «doppio binario»: «Il programma criminale è maturato all’interno delle dinamiche attuative di un ordinario regolamento contrattuale, in base al quale la O. W. Supply ha assunto l’obbligo di provvedere all’appovvigionamento di carburante in favore di unità navali». E quindi Bohn, Perazza e D’Aloja sono quindi gli organizzatori dell’organizzazione criminale, «in ragione del ruolo apicale che svolgono nella struttura societaria lecita». Proprio perché conoscevano la struttura militare sapevano come muoversi e incontrare i militari, ospitati in alberghi romani come l’Atahotel di Villa Pamphili e il Visconti Palace Hotel, per non dare nell’occhio. Proprio la capitale, anche in questo caso, era «il cuore pulsante della consorteria criminale»
LA REPLICA
La Marina Militare intende costituirsi parte civile «contro questi pochi individui i quali, se confermate le accuse, con il loro operato danneggiano l’immagine e il prestigio di tutto il personale della Forza Armata che compie quotidianamente il proprio dovere, anche a rischio della vita, con onore ed abnegazione al servizio della Nazione». Si legge nel comunicato in merito ai tre militari arrestati nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. «Come sempre – aggiunge – la Marina Militare è, e sarà, al fianco della magistratura e delle forze dell’ordine per sradicare la corruzione ovunque essa si annidi».
GLI INDAGATI
Intanto ieri, il gip Flavia Costantini ha sottoposto a interrogatorio di garanzia Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero i due calabresi arrestati la settimana scorsa e accusati di aver fatto da tramite tra la Mafia Capitale e la ndrangheta. Entrambi, hanno deciso di non rispondere alle domande del gip e nei prossimi giorni potrebbero presentare istanza di riesame.
Sara  Menafra***
Potrebbe arrivare anche più in alto all’interno degli uffici della Marina militare, l’inchiesta del pm Mario Palazzi che ieri ha portato a sei arresti compresi tre militari, due dei quali graduati. A lasciar credere che il giro potrebbe essere più ampio, sono le carte di Mafia criminale, in cui gli stessi protagonisti degli arresti di ieri organizzano un traffico di carburanti venduti alla Marina ma acquistati illecitamente tramite un ufficiale romano compiacente, Attilio Vecchi, che però allo stato non risulta nella lista degli indagati.
POCHI CONTROLLI
Come scriveva ieri il gip Alessandro Arturi, «la concreta praticabilità del programma criminale ideato sottende l’ineludibile realizzazione di passaggi preliminari involgenti possibili responsabilità di altri soggetti e centri di poteri istituzionali, allo stato non attinti dalla presente indagine». È un sospetto che potrebbe non reggere alla prova dei fatti, aggiunge il magistrato. Anche se, «sembra incontestabile che la simulazione delle consistenti forniture sia state resa possibile dalla preliminare formulazione di richieste per quantitativi complessivamente ampiamente esorbitanti dal reale fabbisogno del porto di Augusta».
IL PETROLIO DI MALTA
I casi, insomma potrebbero essere molti. Uno emerge da un’informativa del Ros depositata nell’indagine Mondo di Mezzo in cui si parla di una vere e propria «importazione di carbolubrificanti» venduti alla Marina. Un giro d’affari che avrebbe portato in Italia gasolio proveniente da Malta, tramite navi provenienti dalla Romania e persino dalla Libia. Nel giro d’affari, oltre a quelli arrestati ieri sarebbe stato coinvolto anche un ufficiale in servizio a Roma. Stando all’informativa del 18 giugno 2013, Perazza avrebbe fatto da tramite tra alcuni venditori internazionali e Attilio Vecchi, «ufficiale della Marina militare italiana con ufficio presso la Sezione pianificazione operativa e addestramento ubicato presso il ministro della Marina, il quale manteneva stretti rapporti anche con Sebastiano Di Stefano e Mario Leto (arrestati ieri)».
Perazza si sarebbe occupato di organizzare l’incontro in albergo tra Distefano, Leto e Vecchi. E anche se Vecchi avrebbe rifiutato di incontrare i due provenienti da Augusta (al telefono li definisce «pagati e fritti»), l’accordo sarebbe stato in ogni caso chiuso e la «consegna di denaro a Di Stefano e Leto» avvenuta, scrive il Ros. Con la prospettiva, dice Perazza al telefono di avere come nuovi fornitori «Marina Militare e Guardia di Finanza». Dopo l’appuntamento in albergo infatti, Perazza si lamenta proprio col titolare del distributore di Corso Francia, Roberto Lacopo. Perazza: «Io sapevo che c’avevo una cosa da risolvere, che avevo quelli da giù che venivano per il lavoro (riferendosi ai due militari giunti da Catania ndr). Lo sai quanto mi ha dato?»; Lacopo: «4mila già lo so».
SERVONO ABITI BORGHESI
Vecchi viene attivato anche quando la Marina cerca di trasferire Distefano. Gli incontri si sarebbero susseguiti uno dopo l’altro quasi sempre a Roma. Con l’unica accortezza di evitare gli abiti militari. Tanto che in qualche occasione, gli incontri avvengono direttamente all’aeroporto di Fiumicino, tanto che Di Stefano spiega che preferiva ripartire «perché non aveva abbigliamento borghese», sintetizza il Ros.
Sara Menafra
***
arminati sapeva che lo stavano per arrestare, tanto che nei giorni che hanno preceduto il blitz, cambiava continuamente domicilio. Secondo gli inquirenti, ad avvertirlo che stavano arrivando le ordinanze di custodia cautelare sarebbe stato il suo sodale Salvatore Buzzi. Il Nero, poi, sarebbe stato allertato da tutta l’attenzione dei massmedia intorno alla sua casa nel periodo precedente all’operazione del Ros. Il ras delle coop è in macchina con l’amico quando gli dice dell’arrivo dei provvedimenti restrittivi, gi racconta poi di averlo saputo da Gianmarco Chiocci, direttore del quotidiano Il Tempo. Scrivono i pm in una informativa depositata al gip di Tivoli che ha proceduto al primo fermo del boss: «Il 14-10-2014 Buzzi faceva presente a Carminati di aver ricevuto notizie in merito alle indagini dal direttore del quotidiano “Il Tempo”, con cui Buzzi stesso intratteneva costanti rapporti basati su reciproci interessi. A seguito della conversazione, Carminati metteva in atto condotte elusive di eventuali attività intercettive e di pedinamento, mostrando di versare in un chiaro stato di agitazione». I magistrati aggiungono anche che «La tensione di Carminati era alimentata dalla continua pressione mediatica nei suoi confronti: era oggetto di un servizio giornalistico realizzato dalla trasmissione “Ballarò”. Mentre Marco Iannilli gli aveva riferito che dei giornalisti della testata avevano effettuato delle riprese all’esterno della villa di Sacrofano... E un nuovo sopralluogo, questa volta della trasmissione “Annozero”, veniva registrato la mattina del 19 novembre».
Chiocci, ora indagato, replica alle accuse: «Apprendo di essere indagato per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale. Sono tranquillissimo perché questa mia attività di favoreggiamento – evidentemente – consisterebbe, non so in quale modo, nell’esercizio della mia libera attività di giornalista che svolgo allo stesso modo, cioè da persona perbene, da oltre 25 anni. Sono naturalmente a disposizione degli inquirenti in ogni momento, se mai lo dovessero ritenere opportuno».