La Stampa, 16 dicembre 2014
Grecia 1946, il massacro che provocò 40 mila morti e 50 mila prigionieri politici e che diede il via alla Guerra Fredda
Se alla fine della Seconda guerra mondiale le popolazioni dei singoli Paesi d’Europa avessero potuto scegliere autonomamente il proprio sistema politico, la carta del continente sarebbe stata decisamente diversa. Senza dubbio Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, forse anche Romania e Bulgaria avrebbero avuto un governo conservatore e filo-occidentale. La Grecia sarebbe stata comunista e probabilmente pure l’Italia. Invece i destini dell’Europa sono stati decisi a tavolino, prima della fine del conflitto, con un accordo segreto fra Churchill e Stalin passato alla storia come «il patto delle percentuali».
La grande spartizione
Durante la conferenza di Mosca dell’ottobre del 1944 la Grecia veniva arbitrariamente attribuita per il 90% all’influenza occidentale. In quegli stessi giorni i tedeschi si stavano ritirando dal Paese, lasciando il campo alla resistenza comunista che controllava già di fatto l’intero territorio. Gli interessi delle grandi potenze vincitrici, l’ambiguità di Stalin nell’animare la resistenza pur accettando il predominio angloamericano sulla Grecia, l’ostinazione anticomunista di Churchill, condussero invece il Paese a una guerra civile che fece registrare, in poco più di tre anni, circa 40.000 morti, 700.000 profughi (fra cui 25.000 bambini trasferiti nei Paesi del blocco filosovietico) e 50.000 detenuti politici (spesso rimasti tali fino alla fine della dittatura dei colonnelli, nel 1974). Quel drammatico conflitto, poco conosciuto in Italia, è raccontato in una serie di saggi raccolti nel volume Neve e fango per dissetarmi, curato da Silvia Calamati per Edizioni Socrates.
Il giovane idealista
Il cuore della pubblicazione è rappresentato dal diario di un combattente comunista braccato dalle forze monarchiche nel maggio del 1949, poco prima della sconfitta definitiva. Sotiris Kanellopoulos vive con una manciata di compagni giorni incredibili, passando da una grotta a un’altra, su una montagna priva di risorse idriche e alimentari. Stremati, affamati, indeboliti dalla sete e dalle ferite, il gruppo si sgretola, mentre Sotiris continua ad annotare gli avvenimenti quotidiani, la gioia di una canzone o una poesia, la primavera che sboccia, i rari pastori al pascolo. Saranno le sue ultime settimane di vita: verrà catturato e ucciso nel maggio 1949, a 41 anni. Una vita intensa, la sua, vissuta fino all’ultimo con estremo coraggio, spirito di sacrificio, passione per le piccole cose come per i grandi ideali. A distanza di 70 anni le sue parole ci proiettano in un mondo che pare lontanissimo dal nostro, in un’Europa uscita stremata dalla guerra ma dove i conflitti, alimentati da un intreccio di elementi ideologici e nazionali, faticavano a spegnersi. Lo stesso accadeva, ad esempio, sul nostro confine orientale, dove ansia di vendetta, contrapposizione ideologica, odi nazionali provocarono quello strascico di conflitto che diede vita all’esodo di gran parte della popolazione istriana. Tuttavia casi analoghi di violenze civili, epurazioni o mancate epurazioni degli apparati statali, vendette più o meno private, tentativi di resistenza armata, avvenivano alla fine della guerra in ogni angolo d’Europa, Italia compresa.
Due lustri di violenze
Nel contesto europeo la Grecia rappresenta un caso paradigmatico, nel quale si susseguono in maniera esemplare le diverse fasi di un decennio di conflitti e violenze politiche: dalla dittatura filofascista di Metaxas (1936-1941) alla guerra mondiale (con l’intervento di italiani, tedeschi, bulgari e britannici), dalla guerra di liberazione (col suo corollario di conflitto interno e feroci repressioni, tra cui la poco nota strage di Domenikon, ad opera degli alpini italiani) alla guerra civile (1946-1949). Due lustri di violenze che raggiungono l’apice con la guerra civile, «la più feroce e sincera di tutte le guerre», con le parole di Concetto Marchesi. Una guerra poi, quella di Grecia, che segnerà per anni la memoria del Paese e dell’Europa intera, finendo per rappresentare al tempo stesso l’ultima guerra civile del secondo conflitto mondiale e il primo fronte «caldo» della Guerra Fredda.