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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Matteo Messina Denaro, il latitante più ricercato d’Italia, non riesce a stare lontano dagli affari: dopo i parchi eolici si è dato alla produzione di olio doc. Ieri L’ultimo sequestro: 20 milioni di euro in beni tra società e imprese

«È bene vene di lu Siccu. Lo dobbiamo adorare. È u Diu, è u bene di nuiatri». Non solo riverito e servito, ma anche adorato. “Lu Siccu” è Matteo Messina Denaro, il super boss del Belice, latitante dal giugno del 1993. Matteo Messina Denaro capo mafia, assassino e stragista, capace di dialogare, pur stando nella latitanza con politici e imprenditori tanto da diventare il capo di una holding imprenditoriale.
La ragnatela sul territorio
È riuscito a controllare il territorio di mezza Sicilia, “militarmente” ma soprattutto disseminando queste zone di imprese e società con il sostegno di grandi imprenditori. Un paio di nomi: Grigoli (commercio), Nicastri (eolico). Intanto in 21 anni di latitanza al boss, ai suoi parenti o suoi prestanome sono stati confiscati beni e soldi per una cifra incredibile, 3,5 miliardi di euro. Dovrebbe essere povero, ma non lo è. Ha raccolto denaro che è finito nelle banche delle grandi city europee.
I viaggi all’estero
Il sospetto ha condotto gli investigatori verso il Lussemburgo, il Belgio, l’Austria, e in Venezuela per via di alcuni viaggi che il boss si è scoperto aver fatto con un passaporto fornito da un falsario romano, Domenico Nardo. Nel periodo più recente 3 milioni sono stati sequestrati al cugino, Giovanni Filardo, 1 milione ai nipoti Francesco e Maria Guttadauro, 70 mila euro, appena gli spiccioli vien da dire, alla sorella Patrizia. Il boss resiste nonostante gli arresti e i sequestri. Appena ieri Gico e Carabinieri gli hanno sottratto altri beni per 20 milioni di euro. Società e imprese, compreso un oleificio (olio di oliva doc), che da tempo erano state «immobilizzate». «Imprenditori e soggetti di spicco della consorteria di Campobello di Mazara, storico feudo del latitante castelvetranese», fa notare il capo della Mobile di Trapani Giovanni Leuci. Campobello è terreno fertile per la mafia, qui storicamente si sono incontrati Cosa nostra, politica e massoneria. Comune sciolto per due volte.
Qui Mauro Rostagno venne nel 1988 a cercare risposte alle sue domande, e subito dopo fu ammazzato. Per ordine di don Ciccio Messina Denaro, il patriarca della mafia belicina. Le ultime indagini hanno disvelato le voci «di dentro». Comandano anche le donne del clan come Patrizia, la sorella, o la zia, Rosa Santangelo. Parlando di un appalto citando l’imprenditore che lo gestiva, hanno sancito con il «verbo» proprio del mafioso, «lui lo sa che è qui che deve portare il pane». Difficile arrivare direttamente al boss.
Un fantasma
La sua latitanza è diversa da quelle di Provenzano e Riina. Niente ricotta e cicoria e niente contatti diretti. Lo si cerca ma si trovano solo le tracce e sempre in mezzo a appalti e imprese. Una l’ha scoperta la Dia di Napoli tra gli appalti per Pompei. Lì sono stati trovati i nomi di imprenditori che indagini siciliane indicano come “vicini” al boss. A fare la scoperta uno dei cacciatori più formidabili della polizia, l’ex capo della Mobile Giuseppe Linares da oltre un anno direttore della Dia napoletana. Oggi a cercare Matteo Messina Denaro è il successore di Linares, Giovanni Leuci: «La strategia di far “terra bruciata” intorno al Messina Denaro passa anche per l’aggressione ai capitali ed alle aziende riferibili a lui e ai suoi sodali».