la Repubblica, 16 dicembre 2014
Il lupo solitario non esiste. Il jihadista è da solo quando agisce, ma fa sempre parte di una mandria, di un gruppo. Non ha bisogno di chiedere l’autorizzazione al “califfo” Abu Bakr Al Baghdadi, ma colpisce nel nome di un’ideologia che condivide con migliaia di musulmani estremisti
I lupi solitari della jihad non esistono. Il santone iraniano di Sydney, o l’attentatore che ha colpita a Anversa, o ancora il terrorista che ha sparato all’interno del Parlamento di Québec City dopo aver ammazzato un poliziotto canadese, non avevano ricevuto l’ordine di compiere i loro eccidi. Ma sono stati tutti, chi prima e chi poi, a farsi indottrinare da qualche imam radicale in Siria, in Iraq o altrove. Hanno percepito una visione universale della religione, e se ne sono impregnati. Poi, una volta tornati a casa loro, in piena coscienza e dopo aver pregato Allah e chiesto la sua benedizione, hanno preso l’iniziativa di compiere un atto che giustifichi l’ideologia alla quale aderiscono. Il jihadista è da solo quando agisce, ma fa sempre parte di una mandria, di un gruppo. Non ha bisogno di chiedere l’autorizzazione al “califfo” Abu Bakr Al Baghdadi, ma colpisce nel nome di un’ideologia che condivide con migliaia di musulmani estremisti.
Il problema è che per noi occidentali, o per noi democratici, non c’è più protezione assoluta. Sono scomparsi i nostri santuari: siamo ovunque bersagli dell’estremismo, oggi a Monaco di Baviera, domani a Lussemburgo o a Siviglia. Una volta esistevano degli antidoti: le nostre ideologie. Era la contrapposizione di una forza contro un’altra. Potevamo contare sui nostri vicini per fronteggiare assieme il nemico. Ma oggi l’Islam radicale è una religione mondiale. È dappertutto.
Che cosa possiamo fare per rimediare a questa situazione apparentemente disperata? La prima cosa consiste nell’infiltrare i gruppi del terrore per cercare di prevenire i loro misfatti. È un compito che spetta ai servizi segreti e alla polizia, che tuttavia non riusciranno a spaventare i fondamentalisti, perché chi pensa di aver Dio dalla sua parte ed è pronto alla morte, difficilmente ha paura. È comunque necessario acchiapparli per tempo e sbatterli in carcere per impedire che esercitino il loro desiderio di violenza. Per una società bene organizzata, questo compito è relativamente facile. In Francia è stata appena decapitata una rete di predicatore che organizzava il viaggio di giovani francesi, la maggior parte dei quali appena convertiti all’Islam, in Siria e in Iraq.
La seconda cosa che andrebbe fatta è proporre a questi giovani un’alternativa: un’altra avventura. I nostri nonni e i nostri padri ne ebbero parecchie di avventure da vivere. Proprio come fanno oggi i jihadisti francesi o tunisini che vanno in Siria, mio nonno, ebreo di Varsavia, arrivò in Spagna nel 1936 dopo aver attraversato clandestinamente le frontiere di diversi Paesi. Ma il suo progetto era diverso: lui andava combattere contro i fascisti di Franco per solidarietà con gli spagnoli democratici. Oggi, per un giovane di una banlieue che ha voglia di partecipare a un avventura collettiva, la sola opportunità è la jihad, anche se spesso non sa neanche cosa sia l’Islam. Noi laici, pacifisti e universalisti non abbiamo nulla da proporre.
Nell’Islam non c’è contrapposizione tra un mondo in pace e un mondo in guerra, ma tra il mondo in guerra e il mondo islamico, nel senso che se tutti fossero musulmani non ci sarebbe guerra. La guerra tra musulmani, la cosiddetta fitna, è ferocemente condannata da Maometto, che la considera la più grande delle tragedie. Tra musulmani, dice il Profeta, non si deve combattere, perché hanno tutti la stessa concezione di Dio. A modo suo, questo concetto Al Baghdadi l’ha capito molto bene, e ciò spiega la differenza tra lui e Bin Laden. Il fondatore di Al Qaeda era un “terrorista all’antica”, che aveva messo in piedi una sorta di sistema mafioso, con gruppi di fondamentalisti a lui legati e sottomessi, e da lui finanziati e protetti. Con il “califfo” la figura del “padrino” è scomparsa: non è riconosciuto come un capo da tutti i terroristi islamici del pianeta, molti non sanno neanche chi è, altri lo combattono. Ma Al Baghdadi ha proposto un’ideologia vincente. Quella dell’eguaglianza assoluta.
Oggi, siamo in pericolo non perché ci siano troppi jihadisti, che sono pochi, ma perché manca chi vuole difendere la propria libertà. Il nostro mondo non è motivato. Non basta dire «non è bello» quando decapitano qualcuno. Non basta.