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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Bastano 3 miliardi di dollari investiti in ricerca sul riso per far uscire 150 milioni di persone dalla povertà estrema. Il cereale fornisce il 20 per cento delle calorie che tengono in piedi metà dell’umanità

Da circa diecimila anni coltiviamo riso. Per farlo, consumiamo quasi un terzo dell’acqua dolce della Terra. Ne vale la pena? È il secondo cereale più coltivato dopo il mais, il più «bruciato» dagli esseri umani: il riso fornisce il 20 per cento delle calorie che tengono in piedi 3,5 miliardi di persone, metà dell’umanità. Chicco dopo chicco, dalla Cina alle Ande fino alle giungle dell’Africa è diventato cibo intercontinentale. 
Buono per chi si delizia con il sushi o con i risotti al tartufo e indispensabile per chi invece fa la fame: 500 milioni di super-poveri (quelli che sopravvivono al massimo con un euro al giorno) dipendono dal riso come da nessun altro alimento. Il consumo attuale è sotto i 450 milioni di tonnellate annue. Ma la domanda sale: del 2% in Asia, del 20% in Africa. Per mezzo secolo grazie alla Rivoluzione Verde innescata negli anni 60 del Novecento i raccolti sono cresciuti alla stessa velocità della popolazione (1,75%). 
Adesso le rese aumentano della metà rispetto al bisogno: nel 2020 serviranno 500 milioni di tonnellate che diventeranno 555 nel 2035, con un incremento annuo dell’1,2-1,5%. Per gli smartphone non abbiamo problemi. Ma dove troveremo il riso che ci serve? Ancora in Asia, probabilmente. Lì si coltiva il 90% della produzione mondiale. Quattro quinti del riso viene da terre irrigate: 80 milioni di ettari (una superficie pari a Vietnam, Laos e Cambogia messi insieme). Appena un quinto grazie alla pioggia, bontà sua. È per questo che l’Africa è stata bypassata dalla prima Green Revolution. E dalla seconda? Forse no. C’è un miracolo agricolo che appassiona e divide gli attuali «scienziati del riso», eredi dei vecchi rivoluzionari verdi che con nuove varietà (piante più basse, più «ricche») e nuovi fertilizzanti chimici seppero raddoppiare le rese dalle 1,9 tonnellate per ettaro del 1950-1964 alle 3,5 tonnellate del periodo 1985-1998. Questo miracolo viene invece da un angolo remoto dell’Africa: il Madagascar. Si chiama Sri, Sistema di Intensificazione della coltivazione di riso, e viene descritto dal Comitato Scientifico Expo 2015 come «uno dei più grandi sviluppi agricoli degli ultimi 50 anni». 
La scintilla in realtà fu piantata negli anni 80 da un giovane agronomo francese, Henri de Laulanié, che osservando i contadini malgasci mise a punto un sistema che punta a ottenere «più raccolti con meno semi, meno acqua meno fertilizzanti e solo organici». Questo metodo «per produrre di più con meno» ha attecchito in altre parti del mondo, compresa l’Asia, e oggi viene utilizzato da 5 milioni di contadini. Il segreto? «Piantine più giovani, piantate singolarmente, a distanza di 25 centimetri, acqua a intermittenza, erbacce rimosse frequentemente e precocemente». Nel Nord-Est dell’India l’Sri ha permesso di ottenere su piccole estensioni raccolti da 22,4 tonnellate per ettaro (record mondiale) a Darveshpura, ribattezzato «il villaggio dei miracoli». Magnificato da studiosi come Norman Uphoff della Cornell University e da economisti alla Joseph Stiglitz, il metodo Sri mutuato dal Madagascar viene ridimensionato da altri scienziati e ricercatori come quelli dell’International Rice Research Institute (Irri) che ne contestano i risultati e l’applicabilità su larga scala. Per l’Irri la nuova Green Revolution del riso arriverà piuttosto dallo studio di nuove varietà genetiche resistenti alla siccità e al caldo, dopo la recente scoperta di quella che sopravvive alle alluvioni. 
Anche il riso soffre di global warming : le alte temperature durante la fioritura lo possono rendere sterile. Tom Ishimaru ha scoperto un gene che codifica la fioritura al mattino presto anziché a mezzogiorno. Nuove sementi o tecniche bio? Il cambiamento climatico è una sfida anche per i coltivatori. La maggior parte della produzione interessa il delta dei grandi fiumi asiatici: Mekong, Brahmaputra e Irawaddy. Lì l’innalzamento del livello dell’oceano e l’aumento della salinità dell’acqua è una minaccia. Forse occorre puntare su diverse strade, un mix di rivoluzione e conservazione. L’importante è che si continui a investire e studiare. 
Non serve molto. L’«Economist» ha calcolato che con 3 miliardi di dollari investiti in ricerca sul riso nei prossimi 25 anni si farebbero uscire 150 milioni di persone dalla povertà estrema. Venti dollari a persona. E già questo è un piccolo miracolo di costi.