Corriere della Sera, 16 dicembre 2014
Nella stazione di servizio Eni di corso Francia. Lì dove, a cielo aperto, si riuniva la banda Capitale. Il benzinaio: «Non ho mai sentito i loro discorsi... Anche perché poi... Nessuno di noi si avvicinava a Carminati...»
L’ufficio di Massimo Carminati è rimasto aperto.
Affari sporchi, criminali a piede libero, omertà.
Stazione di servizio Eni (ex Agip), corso Francia.
Anche la banda che truffava la Marina Militare veniva a riunirsi qui.
Ma che razza di fogna a cielo aperto è questo posto? Sopra, le palazzine borghesi di Vigna Stelluti. Laggiù, nel riverbero del parabrezza rigato dalla pioggia, le luci dei Parioli. Il cavalcavia della via Olimpica. Traffico. Clacson. Metà pomeriggio.
Bisogna cercare di attaccare bottone con uno dei dipendenti (i proprietari del distributore, Giovanni e Roberto Lacopo, sono già stati arrestati dieci giorni fa nell’inchiesta su «Mondo di Mezzo»).
«Il pieno?».
No, venti euro...
Il benzinaio è basso, robusto, ha un lieve accento straniero (Europa dell’Est). Il benzinaio li conosceva, li vedeva.
«Ma non ho mai sentito i loro discorsi... Anche perché poi...».
Poi?
«Nessuno di noi si avvicinava a Carminati».
L’ultimo che hanno arrestato, poche ore fa, è un certo Massimo Perazza...
«Boh, mai sentito».
Massimo «il Romanista».
«Ah... Davvero ne hanno bevuto un altro?» ( curioso: il benzinaio straniero usa il linguaggio antico della mala romana ).
Ma perché stanno tutti qui?
«Qui passa gente cattiva e gente buona, avvocati e attori, spacciatori e politici».
Il benzinaio adesso pensa: questo sta facendo troppe domande. Ma più veloce del suo sospetto è la voce rauca del collega, che urla: «Abel! Fatte i cazzi tuoi! Lavora e zitto...».
Senza rendersene conto, il benzinaio ha ripetuto la teoria di Carminati sul «Mondo di Mezzo», con cui i carabinieri del Ros hanno poi battezzato la loro indagine. Carminati, ignaro della cimice, la spiegò al suo braccio destro, Riccardo Brugia (era il 13 dicembre del 2012). «Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto. E noi stiamo nel mezzo. Perché ci sta un mondo, un Mondo di Mezzo, in cui tutti si incontrano. E tu dici: come è possibile che io domani posso stare a cena con Berlusconi?».
Se uno è a corto di immaginazione, una sosta di mezz’ora in questa piazzola spiega abbastanza. Calciatori e ufficiali della Marina, ex Nar e avvocati rampanti, commercialisti di rango e attrici famose, mamme con capelli biondo Roma-Nord e autisti peruviani. Tutti passano da qui, ma non tutti vanno subito via.
Lì, all’inizio della piazzola, sulla sinistra, c’è l’autolavaggio dove Carminati incontra Paolo Pozzessere, fino a pochi mesi prima direttore commerciale e responsabile delle commesse all’estero di Finmeccanica. E sempre lì, mentre le spazzole ronzanti rendono complicato l’ascolto delle intercettazioni, «Er cecato» riceve la visita di due agenti infedeli non ancora identificati – giunti a bordo di un’Alfa Romeo 156 colore grigio, targata CJ601GF e intestata alla Questura di Roma – che lo avvertono: «Attento, stai sotto indagine...».
Accanto all’autolavaggio, c’è il bar.
Tavolini illuminati male. Sul bancone alcuni quotidiani ripiegati sulle pagine che hanno la testatina «Mafia Capitale». C’è un tipo ossuto, cinquant’anni, basette bianche e folte, che sta dicendo ad un altro: «Oh, io avrei un albergo da vendere...».
Entra Renzo Arbore. Va diritto al bagno (fuori stanno facendo il pieno alla sua Jaguar). Saluta, esce.
Entravano anche altri.
Quelli arrestati all’alba e che avrebbero frodato oltre 7 milioni di euro all’Erario grazie all’acquisto di almeno 11 milioni di gasolio destinati ad una nave affondata. E quelli che lividi e con le costole rotte, convinti da Matteo Calvio detto «spezzapollici», il ceffo al quale Carminati aveva affidato il settore «recupero crediti», venivano a pagare gli interessi dei soldi prestati a strozzo. Poi entrava Giovanni De Carlo detto «Giovannone», il capobastone di Ponte Milvio, che si faceva bello per aver ospitato a casa sua Belen e il marito, e a turno entravano, sono entrati tutti gli altri, i capi e i capetti che controllano il crimine in questa città: i «napoletani» di Michele Senese, i calabresi, gli ultimi fantasmi della banda della Magliana, i Casamonica padroni di Roma-Est.
Entravi: e loro stavano lì.
Magari Carminati stava dicendo al suo compare Brugia di aver ordinato due pistole Makarov calibro 9 silenziate, «quelle che fanno “clack” e che prima che se ne accorgono, poveracci, s’è già allargata la macchia del sangue». O magari invece a parlare era proprio il proprietario della stazione di servizio, Giovanni Lacopo, perché lui lo conosceva un carrozziere a cui chiedere qualche saldatura per poi poter nascondere nell’auto soldi e droga.
Uscendo dal bar, subito sulla destra, c’è il bancomat della Banca del Fucino. Poi quattro vetrine di Blockbuster. Ma laggiù Carminati non ci arrivava mai. Gli piaceva stare qui, all’ingresso del bar.
È un eccellente osservatorio. Chi sale verso la via Cassia e chi scende verso il centro deve passare davanti a questa stazione di servizio.
Anni da terrorista, da bandito, da latitante. Alla fine ti accorgi di cose che ad altri sfuggono.
Quello che passa sempre con la Maserati: chi è ? Come li fa i soldi? Un giorno disse: «Vedo movimenti strani... certi in borghese... e moto che girano, salgono, vanno sulla Cassia, riscendono, fanno il giro e ritornano...» (due giorni dopo, in via Gradoli, lo scandalo che travolse l’ex presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo).
Uno schifo di posto, questo bar. Con un caffè squisito (Carminati non consumava alcolici ma solo caffè), che però è meglio bere in fretta.
S’affaccia uno: «A bello... ma che è tua a’ Giulietta? Ce da impiccio, spostala... anzi, fatte un giro, damme retta».