Corriere della Sera, 16 dicembre 2014
Jeb Bush perde otto chili per tornare sul palcoscenico della politica. Puntando alla «nomination» repubblicana per le presidenziali del 2016. E non è certo l’unico...
Il primo segno che Chris Christie, l’imponente governatore del New Jersey, puntava alla Casa Bianca, venne dalla sua decisione di sottoporsi a una dieta severa. Poi scoppiò lo scandalo del Washington Bridge che ha sepolto (o quantomeno ridimensionato) le sue ambizioni presidenziali. Anche nel caso di Jeb Bush gli otto chili persi grazie a frequenti nuotate e all’attività fisica guidata da un «personal trainer» è indizio della volontà di tornare sul palcoscenico della politica, puntando dritto alla «nomination» repubblicana per le presidenziali del 2016. E non è certo l’unico. L’ex governatore della Florida, figlio e fratello di presidenti, ha detto che scioglierà la sua riserva entro fine anno, ma difficilmente si tirerà indietro. La mole degli indizi è schiacciante: Jeb, che in un’intervista tv trasmessa domenica in Florida ha praticamente detto che spera di essere un buon candidato, si accinge a pubblicare un libro sulla sua esperienza da governatore e le sue visioni politiche: la tipica mossa di ogni aspirante alla presidenza. E, sapendo che da rampollo di una delle due «famiglie reali» della politica americana (l’altra è quella dei Clinton) la sua storia personale sarà passata al microscopio, Jeb fa una scelta senza precedenti: renderà pubblico il testo delle 250 mila email scambiate negli ultimi anni da lui e dai suoi staff nel mondo politico e degli affari. Una scelta coraggiosa, di grande trasparenza, ma anche non priva di rischi.
In questo modo Jeb risponde ai primi attacchi che gli sono arrivati. Come quello di Bloomberg Busness Week che ha passato al raggi X le sue attività finanziarie arrivando a concludere che negli anni scorsi il figlio di George H. W. Bush ha costruito una rete di interessi perfino più complessa di quella che quattro anni fa creò tanti problemi a Mitt Romney. Nulla di illegittimo, ma alcuni suoi affari, anche in Cina, così come le attività di consulenza svolte in passato per la Lehman Brothers (poi fallita) e per il controverso miliardario messicano Carlos Slim, potrebbero creargli imbarazzo al momento del rientro sulla scena politica.
Un’attività finanziaria che mal si concilia col percorso di un leader che aspira alla Casa Bianca. Probabilmente Jeb negli anni scorsi non aveva messo la presidenza nel suo radar, anche per l’opposizione dei suoi familiari. L’idea di correre per la nomination ha ripreso corpo solo di recente, stimolata dalle pressioni del padre e dall’evidenza di un campo repubblicano nel quale manca un «front runner» da contrapporre a un «peso massimo» democratico come Hillary Clinton. Gli ostacoli sono caduti uno dopo l’altro: dapprima la moglie e i figli hanno deciso di accettare gli sconvolgimenti della vita familiare e i rischi di incursione nella loro privacy che una candidatura presidenziale comporta. Poi la madre Barbara, da sempre contraria allo sbarco di un terzo Bush alla Casa Bianca, ha fatto sapere che, anche se il suo punto di vista non è cambiato, smetterà di parlare delle sue perplessità in pubblico.
Anche sui problemi di linea politica – il più giovane dei Bush, conservatore su tasse e aborto, su immigrazione clandestina e riforma scolastica ha posizioni che piacciono più ai democratici che ai repubblicani – è arrivato il viatico dei potenziali finanziatori della sua campagna e dei «grandi vecchi» del partito come James Baker, che lo invitano ad andare avanti con le sue idee. Anche a costo di scontare qualche difficoltà nelle primarie, dove le posizioni «dure e pure» dei candidati radicali possono fare maggiore presa su votanti molto più ideologicamente motivati di quelli che andranno alle urne nel novembre 2016. Jeb è pronto a correre il rischio.