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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

«I nuovi terroristi sono soggetti che agiscono grazie a un impulso personale, che trovano confermato in tutta la prateria web del radicalismo islamico. Un impulso che sfogano nella loro pericolosa jihad individuale». Parla Stefano Dambruoso, definito del Time, un «eroe moderno» per il suo impegno contro al-Qaeda

Stefano Dambruoso, magistrato, deputato di Scelta civica, è uno dei maggiori esperti al mondo di terrorismo. Nel 2003, Time lo inserì nella lista degli «eroi moderni» per il suo impegno contro al-Qaeda. Nei suoi libri ha raccontato – e previsto – casi come quello australiano. Lei ha parlato diffusamente dei «lupi solitari». «Stiamo parlando di persone che appartengono a un’area di musulmani radicali di seconda o terza generazione. E si tratta di soggetti solitari, che non sono inseriti in una cellula associativa con una strategia preordinata, diversamente dal fenomeno che abbiamo conosciuto durante il ventennio di al-Qaeda. Sono soggetti che agiscono grazie a un impulso personale, che trovano confermato in tutta la prateria web del radicalismo islamico. Un impulso che sfogano nella loro pericolosa jihad individuale. Stiamo parlando di percentuali minime, che non appartengono all’intera area musulmana e che oggi possono trovare sul web ragioni di autoreclutamento. Sul web trovano tutte le conferme alle ragioni che li hanno spinti a cercare quel tipo di stimolo, di impulso». È il terrorismo che lei definisce «homegrown». Perché questi soggetti si radicalizzano? «Da noi è più diffusa la seconda generazione di musulmani. In altri Paesi siamo già alla terza generazione. Si tratta di persone che sono arrivate in Europa, in Italia, Inghilterra o Francia e che hanno mandato i loro figli nelle scuole di questi Paesi. Uno su mille avverte il disagio della mancata integrazione. E questa percentuale minima non può essere la testimonianza del fatto che ci siano cattive politiche di integrazione. Certo, queste politiche possono essere migliorate, ma le percentuali di individui radicalizzati sono troppo basse per poterle associare a cattive politiche di accoglienza». Lei ha scritto che l’immigrazione irregolare può rappresentare un pericolo per via delle «incontrollate infiltrazioni estremistiche». «L’immigrazione irregolare presenta due fenomeni. Da un lato costituisce un parziale finanziamento al terrorismo da parte dei gruppi che la organizzano ad esempio in Nord Africa e in Egitto. Ci sono trafficanti di esseri umani che pagano il pizzo agli islamisti locali. Le associazioni terroristiche non sono in grado di organizzare l’immigrazione, come quella che vediamo per esempio a Lampedusa. Ma sono presenti sul territorio in cui operano i trafficanti di esseri umani. Poi c’è il fatto che, con decine e centinaia di migliaia di immigrati irregolari, può aumentare il rischio che qualcuno viva il disagio della cattiva accoglienza. E a quel punto possa decidere di passare all’auto immolazione facendosi saltare da qualche parte. Ma anche in questo caso il problema è legato ai singoli e non a gruppi criminali». C’è chi vive il disagio della cattiva accoglienza. Ma c’è anche il caso di Mohammed Game, che lei ha raccontato nel libro Un istante prima (Mondadori). Game nel 2009 fece esplodere una bomba artigianale a Milano davanti a una caserma. Lui era, o sembrava, integrato. «Era integrato. Ma poi viene licenziato. E a quel punto non ha appigli o comunque strutture a cui rivolgersi in una fase di difficoltà personale. Come molti, è andato in moschea, sperando di trovare maggior aiuto nella preghiera. Ma ha trovato anche un predicatore che lo ha indotto a compiere un sacrificio personale. Si è trovato in una situazione di fragilità e non ha trovato altro aiuto se non nella pratica terroristica. Fortunatamente è un caso su migliaia di persone che vivono una situazione di disagio». Lei ha parlato anche di rischi per l’Italia, in particolare per città come Milano, Napoli e Roma, dove è maggiore la concentrazione di musulmani. Dove può verificarsi una situazione come quella vista in Australia? «Obiettivamente può accadere davvero ovunque, appunto perché non stiamo parlando di organizzazioni con una base specifica. Questo non ci deve allarmare, ma dobbiamo sapere che abbiamo di fronte un fenomeno che esiste. E che va fronteggiato con misure diverse rispetto alla prevenzione classica, che continua a funzionare contro piccoli gruppi. I quali esistono ancora ma non sono strutturati come lo fu al-Qaeda per un ventennio». Come si combatte questo nuovo terrorismo? «A livello europeo, nel semestre di presidenza italiana, nel gruppo dell’antiterrorismo si è discusso dell’introduzione di nuove norme. Per esempio quella che punisce l’auto reclutamento. E quella che punisce come attività terroristica il solo fatto di essere andati a combattere in una organizzazione come l’Isis in un territorio diverso da quello europeo. Si tratta di due estensioni della penalizzazione. Nel caso dell’auto reclutamento, stiamo parlando di gente che viaggia solo sul web, e magari non fa alcuna attività organizzativa concreta. Mentre il fatto di partecipare a una guerra con una organizzazione criminale, ma all’estero, è estensiva del concetto di terrorismo internazionale. Normalmente, per punire qualcuno si richiede un minimo di collegamento con il territorio in cui poi verrà processato. La settimana scorsa, in Germania, abbiamo avuto il primo esempio di un cittadino tedesco processato per aver combattuto in Siria con lo Stato islamico. Il terzo elemento su cui si è riflettuto a livello europeo è l’introduzione, come misura di prevenzione, del ritiro del passaporto ai soggetti in procinto di partire per la Siria. In questo caso però ci si è trovati a riflettere su un dato che ha sollevato qualche perplessità. In Canada è stato ritirato il passaporto al soggetto che poi è andato ad attaccare il Parlamento. Ci si è chiesto se sia utile mantenere sul territorio persone che hanno un profilo di aggressività». E in Italia che si può fare? «Si può finalmente creare l’ufficio di coordinamento nazionale delle Procure che si occupano di antiterrorismo, così come esiste la Direzione nazionale antimafia».