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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Un curriculum su tre è cronologicamente sbagliato. Alcuni dimenticano anche di inserire i dati di contatto: la mail, il numero di telefono. Così i neolaureati che aspirano a un lavoro vengono bocciati già prima del colloquio. Piccoli consigli per non farsi male da soli...

I selezionatori sono cattivi, ma i neolaureati che aspirano a un lavoro sanno farsi male da soli. Uno su tre presenta un curriculum vitae, su carta o digitato in una piattaforma aziendale, cronologicamente sballato. Difficile comprendere il percorso scolastico del neolaureato, individuare il momento in cui ha fatto esperienze formative extra: master, stage. Difficile comprendere, pure, se un viaggio all’estero sia il qualificante Erasmus o una gita universitaria. Lo hanno riferito trenta aziende – tra cui diverse multinazionali, c’era la Apple, c’erano Toyota, Cameo, H&M, L’Oréal, poi Calzedonia, Luxottica, il gruppo Coin – al settore replacement dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che è l’ufficio che si occupa di orientare i neolaureati verso il primo colloquio e il primo impiego. Il 28 per cento dei cacciatori rivela, infatti, che nei “cv” dei nostri ventiseienni ci sono «date discordanti». Molti dimenticano di inserire i dati di contatto: la mail, il numero di telefono. Il luogo di nascita e la residenza. Il 18 per cento dei selezionatori di fronte a queste dimenticanze mette il curriculum nel tritacarte. Un selezionatore ogni sette segnala, ancora, che nel foglio che dovrebbe dischiudere un lavoro a un giovane non c’è l’indicazione del diploma, né il voto di laurea. A volte si preferisce nasconderlo, un datore di lavoro lo considera un segnale negativo. L’incontro al “Career day” di Ca’ Foscari con le aziende operanti in Italia è diventato una lezione di buon curriculum vitae, atto fondamentale – certo non unico – per trovare l’impiego. Si scopre che i nostri candidati, una minoranza però larga e rumorosa, mettono foto inappropriate, anche estive, scattate in spiaggia e al pub. Sono prolissi, ridondanti e caotici. Hanno sovrastima di sé e non si capisce se è arroganza o tensione all’automarketing. «Al primo colloquio il falso profilo crolla subito», spiega Barbara Benedetti, coordinatrice del placement in Ca’ Foscari. Già, troppi scivolano sull’inglese. Scrivono “fluente” e quando – accadde in un famoso colloquio di lavoro in Telecom, anni fa – il recruiter dice «Have a sit», ovvero «Si sieda», l’aspirante resta in piedi guardando lontano. «Il novanta per cento dei selezionatori verifica il livello della lingua, chi non la conosce come ha dichiarato è bruciato». E chi spedisce un curriculum in lingua straniera, inglese innanzitutto, è necessario, primo, che si assicuri che sia corretto dall’attacco alla chiusa e, secondo, deve sapere che le aziende da un dipendente che parla e scrive in lingua straniera si attendono che possa andare a lavorare all’estero. Molti al primo colloquio impallidiscono: «Preferirei restare in Italia...».
Le trenta compagnie contattate dall’università veneziana ricevono tra le venti e le cinquanta candidature a settimana. Sono cinquantamila curriculum l’anno, buona base statistica. Otto su dieci vanno subito alla sintesi del profilo e alla descrizione degli obiettivi professionali: bisogna indicare presto le competenze da offrire, provare a metterle in sincrono con il ruolo ricercato dalle aziende. Il 71 per cento delle “company” ritiene un’indicazione sovrastimata dei ruoli ricoperti un elemento che compromette l’esito della candidatura. «Non puoi fare tre mesi di stage in azienda e qualificarti come responsabile del marketing», spiega la Benedetti, «purtroppo accade». I recruiter sono falchi addestrati a cogliere l’autovalutazione gonfiata.
La novità al tempo dei social è che metà dei selezionatori va a controllare Facebook, Twitter, soprattutto LinkedIn, ed è tra i post e i commenti che inizia a valutare il candidato. C’è un mito da sfatare, poi. Il modello cronologico, il racconto di sé, è preferito da un terzo rispetto al curriculum Europass, quello preordinato e da completare (“informazioni personali”, “posto per il quale si concorre”). Non è sepolto, insomma. Una buona esposizione indica una conoscenza dell’italiano e una predisposizione al ragionamento. Una veste grafica personalizzata, infine, non solo aiuta la presentazione, ma dimostra che chi si presenta sa utilizzare le tecnologie.