il Giornale, 16 dicembre 2014
In Fiat solo undici metalmeccanici su cento hanno scioperato. E Landini ha bluffato sui numeri
Sugli scioperi i sindacati non possono cambiare idea per il semplice motivo che non ne hanno un’altra. Sostengono che sono sempre e comunque necessari e che inevitabilmente rappresentano un successo. Anche quello di venerdì scorso (a cui coraggiosamente non si è associata la Cisl) ha seguito il solito copione. Piazze invase da lavoratori straordinari. Pochi e circoscritti scontri ad opera di infiltrati. Il solito milione e mezzo di adesioni. Più del 60 per cento di astensioni dal lavoro. Ma le cose sono andate davvero così? I numeri ufficiali raccontano una storia ben diversa.
Con un po’ di mente fredda e con i dati veri si può iniziare a ragionare. Il successo politico di uno sciopero dipende fondamentalmente dalla eco mediatica e da quella della piazza accanto: più è forte più si spera di condizionare la politica. In questo caso una legge già votata dal Parlamento. Vedremo quanto i decreti delegati che il governo sta predisponendo in queste ore saranno influenzati dallo sciopero di Cgil e Uil. E quanto l’evocazione della Resistenza (che palle) del solito sindacalista che sembra dire nulla dal palco, ma lo fa urlando e con gesti gladiatori, possa influenzare le decisioni di Matteo Renzi.
Quel che conta, dicevamo, sono i numeri. Ebbene, andiamo nella principale società manifatturiera di mercato che ci sia in Italia. La Fiat. E andiamo nei suoi stabilimenti caldi, quelli nei quali si consumò la rottura con la Fiom sui referendum di Sergio Marchionne. I luoghi di lavoro, in cui c’è da aspettarsi ribolla più il sangue. Entriamo in quelle linee di montaggio che vedono applicato il nuovo contratto predisposto dal Lingotto, e che avrebbero dovuto imbarbarire il rapporto di lavoro oltre i limiti consentiti in un Paese occidentale. Il numeretto assoluto vede un’adesione allo sciopero generale dell’11,6 per cento, pari a 7300 lavoratori su 63mila addetti di FiatChrysler e Cnh (trattori e movimentazione terra). Altro che successo, si tratta di una percentuale ridottissima. Che scende ancora negli stabilimenti caldi. A Pomigliano e Cassino hanno scioperato rispettivamente l’1 e l’l,7 per cento degli operai. Un po’ più alte le percentuali dei due stabilimenti più popolati: il 5 per cento alla Sevel di Val di Sangro e il 2,7 per cento alla Sata di Melfi. Anni luce dalle adesioni propagandate a livello nazionale e pari al 60-70 per cento dei lavoratori.
Insomma lo sciopero generale, almeno in casa Fiat, è stato, dal punto di vista sindacale, un flop. Dovrebbe far ragionare i sindacati confederali (la Cisl qualche sospetto sul cosa fare dopo lo aveva intuito e per ciò si è sfilata dal coro) sulla differenza che c’è tra i loro annunci e i risultati. E soprattutto fornisce a noi l’idea di come ormai lo sciopero sia diventato un strumento più di propaganda politica che di rivendicazione per un diritto negato.