la Repubblica, 16 dicembre 2014
Chi era Man Haron Monis, l’uomo della strage di Sydney. Ritratto di un perfetto “lupo solitario”. Fuggito dall’Iran nel 2001 era accusato di molestie e di complicità nell’omicidio dell’ex moglie. Si firmava “sceicco Haron”
Man Haron Monis, pregiudicato, sospetto jihadista noto alla polizia e alla magistratura australiana. Il ritratto perfetto del “lupo solitario”. L’incubo di tutti i servizi d’ intelligence occidentali. Certo, aveva tutto per insospettire e infatti era ampiamente noto alle forze dell’ordine. Ma quanti ce ne sono come lui? Individuarli è un conto. È possibile metterli tutti in condizione di non nuocere? Di certo il responsabile dell’attacco terroristico che ha scatenato il panico a Sydney non passava inosservato. Nel 2001 dichiarò di essere fuggito dall’Iran dove secondo lui aveva lasciato moglie e figli «tenuti in ostaggio dal regime». Una volta approdato in Australia, si era dato da fare per alimentare il suo dossier penale. A 49 anni questo sedicente «ayatollah islamico e militante pacifista» al momento del sequestro degli ostaggi era in libertà provvisoria, su cauzione. Incriminato per il suo ruolo nell’uccisione dell’ex-moglie. Durante l’istruttoria disse: «È un processo politico». Sostenne di essere stato torturato in carcere. Altri precedenti con la giustizia: denunce per molestie sessuali da parte delle sue “pazienti”. In passato infatti aveva esercitato come «guru esperto in meditazione, magia nera, astrologia».
Ma la polizia conosceva bene anche la sua inclinazione jihadista: nel 2011 era stato condannato per aver mandato lettere «insultanti e diffamatorie» ai parenti dei soldati australiani morti sul fronte afgano e ai parenti di vittime del terrorismo. La pena, «300 ore di servizi sociali e due anni di libertà vigilata con obbligo di buona condotta», non è risultata efficace. Più di recente, bastava andare sul suo sito per trovarvi messaggi di odio: «Le parole sono i miei proiettili». Sul sito si firmava Sceicco Haron, uno dei tanti nomi usati, insieme a Mohammed Hassan Manteghi o Manteghi Boroujerdi. Era stato messo ai margini dalla comunità di immigrati di religione sciita in Australia. I leader sciiti avevano chiesto alla polizia di indagare su di lui. Pochi giorni fa aveva annunciato la sua conversione all’islam sunnita.
In quanto ai possibili progetti di attentato, ora la polizia australiana ricorda due avvisaglie. Una fu l’anno scorso, poco dopo l’elezione del premier conservatore Tony Abbott, quando Man Haron Monis gli scrisse per incontrarlo: voleva «dargli le prove che l’Australia sarà attaccata». Più di recente, sul suo sito aveva scritto dure condanne dei bombardamenti contro lo Stato islamico in Siria: raid a cui partecipa l’aviazione australiana a fianco alla Us Air Force. Ma tutto questo non è bastato a far scattare attorno a lui una sorveglianza speciale. Errore marchiano, incompetenza grave? O forse non poteva bastare? Quanti casi simili ci sono, al confine tra le potenziali reclute del terrorismo, i mitomani, le persone affette da malattie mentali? In uno Stato di diritto è possibile prendere misure preventive contro tutti i potenziali “lupi solitari”?
La tragedia di Sydney rilancia un allarme già vissuto negli Stati Uniti. Il precedente più importante è l’attentato alla maratona di Boston, 15 aprile 2013. Responsabili due ragazzi ceceni, anche loro “lupi solitari”, non appartenevano ad un’organizzazione. Ex post Mosca disse che erano stati segnalati dai servizi russi, notizia mai verificata. E comunque, quante segnalazioni piovono negli uffici dell’Fbi ogni giorno? È possibile prevenire ogni attacco senza limitare le libertà e i diritti costituzionali di intere comunità di immigrati islamici? Di certo queste vicende sono anche un brutale risveglio dalla hybris del Grande Fratello. Dal 2001 in poi l’ intelligence ha imboccato la strada dell’ipertrofia tecnologica, si è illusa che i massicci investimenti nella meta-sorveglianza digitale e nei Big Data fossero la nuova frontiera della sicurezza. Invece le minacce reali continuano a volare basso, molto al di sotto della capacità di avvistamento della National Security Agency e delle sue fedeli alleate occidentali: i servizi segreti australiani fanno parte proprio della coalizione delle cinque intelligence anglosassoni (con l’americana, inglese, canadese e neozelandese), un patto di ferro che prevede la massima collaborazione e lo scambio di ogni informazione utile. Intanto per lo Stato Islamico vicende come quella di Sydney sono altrettante occasione di pubblicità e reclutamento: dimostrano che la jihad può colpire ovunque, senza neppure dover fare uno sforzo organizzativo all’estero.