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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

Il seguace del Califfato e il jihadista vivono tra noi. L’obiettivo di Al Baghdadi non è soltanto quello di conquistare un territorio (controlla 100mila chilometri quadrati tra Siria e Iraq con 10 milioni di abitanti) ma portare avanti una guerra santa che non ammette confini. Chi li fermerà?

C’è un mondo di mezzo anche per la Jihad islamica dell’Isis? Sì ma è assai più oscuro e inafferrabile delle trame nostrane, può essere visibile in Medio Oriente, sulle coste della Libia, oppure nascosto qui, alla porta accanto, per comparire in un innocente negozio di cioccolata come è avvenuto tragicamente ieri a Sydney. Il seguace del Califfato e il jihadista vivono tra noi. Alla geografia del caos mediorentale, con Stati che sprofondano insieme ai destini di milioni di profughi, nel mondo occidentale corrisponde una geografia dell’incertezza.
È una minaccia imprevedibile in mezzo alla società, al di là di ogni esacerbato allarmismo e di ogni deplorevole islamofobia che come sempre accompagnano la paura. Le maschere del Califfato e dell’estremismo islamico sono molteplici e si manifestano agitando una rudimentale bandiera nera con la “shahada”, la professione di fede in Allah, a migliaia di chilometri dal Medio Oriente, come è accaduto ieri a Sydney con tre morti, nell’assalto al Parlamento canadese di ottobre e con migliaia di militanti di passaporto europeo reclutati in Siria. Lo Stato Islamico rappresenta una doppia minaccia: in Mesopotamia è capace di condurre una guerra con metodi terroristici e militari ma è in grado di colpire anche fuori. L’obiettivo del Califfato non è soltanto quello di conquistare un territorio (controlla 100mila chilometri quadrati tra Siria e Iraq con 10 milioni di abitanti) ma portare avanti una guerra santa che non ammette confini. Una concezione in cui le suddivisioni politiche non sono così fondamentali ma dove l’importante è la guerra all’infedele, senza limiti geografici, soprattutto quando si colpisce in uno stato come l’Australia e il Canada che partecipano con soldati e aerei alla battaglia contro l’Isis.
Un avvertimento anche per noi italiani che ci stiamo schierando con un contingente militare a Erbil, capitale del Kurdistan. I combattenti europei arruolati nel Califfato, sono una potenziale minaccia: se l’Isis subisce sconfitte sul campo potrebbe scegliere anche una risposta terroristica in Occidente. Ma forse a inquietare di più è il fenomeno del jihadista della porta accanto. È qui che avviene lo stacco più profondo con Al Qaeda di Osama bin Laden: un’organizzazione di élite, strutturata in cellule, guidata da una leadership di veterani dell’Afghanistan e della Bosnia con forti radici ideologiche che metteva in atto azioni tragiche e spettacolari come l’11 settembre.
Questa vecchia guardia non controlla più le nuove leve affascinate dai messaggi dello Stato Islamico che ha saputo sfruttare al massimo Internet e i social media per calamitare le generazioni dei nativi digitali. È così che un messaggio fatto di slogan religiosi semplificati e violenti si è fatto strada nel mondo globalizzato: a Bin Laden si contrappongono i rapper delle banlieu di Parigi e Londra, del Cairo o di Tunisi, con testi grezzi e richiami all’Islam banali ma assai efficaci, esaltati dai filmati dei martiri e delle decapitazioni, che sono passati con le immagini più truculente da un continente all’altro.
Ognuno oggi può diventare Califfo nel mondo di mezzo della Jihad, dove l’azione conta più della dottrina. Non è un caso che nella frammentata galassia islamista abbondino predicatori dalla dubbia provenienza e preparazione che indossano la maschera del Califfato come ha fatto lo “sceicco” di Sydney, una sorta di maturo profeta delle periferie di origini iraniane che aveva alle spalle denunce per molestie sessuali. Il militante richiama altri militanti, il web fa il resto. Un ragazzo di 17 anni, Abdullah Elmir, è appena comparso in un video circondato da uomini armati: ha minacciato l’Australia che lui e suoi compagni non si fermeranno fino a quando la bandiera del Califfato non sventolerà su ogni Paese. In giugno ha lasciato Sydney per la Turchia, ha attraversato il confine e si è arruolato. Gli amici dicono che era un ragazzo normale, amante del teatro.
Il disagio economico e sociale, la ricerca di un’identità, un’adolescenza difficile nelle periferie occidentali, la fine delle cosiddette “speranze collettive”: sono tante le motivazioni che portano all’azione il jihadista della porta accanto. Tranne una che sorprende e spaventa: Elmir era un ragazzo normale, un volto come tanti altri nella folla che oggi per qualcuno è già diventato un esempio o un eroe.