Il Sole 24 Ore, 16 dicembre 2014
Il crollo del rublo. La valuta russa sfonda quota 60 contro il dollaro e cade anche nei confronti dell’euro e Mosca alza i tassi al 17%
«I mercati cominciano a credere che il prezzo del petrolio resterà basso a lungo e in queste condizioni la Russia non sembra un posto dove uno dovrebbe investire i propri soldi. Anche se non ci fossero le sanzioni». Basta la breve mail di un analista – Dmitry Dudkin, di Uralsib Financial a Mosca – per dare il senso di quello che sta succedendo a questo Paese.
Ieri il rublo ha scoperto nuovi inesplorati orizzonti nella sua picchiata senza fine apparente e per la prima volta ha sfondato la soglia 60 contro il dollaro. Ma non era ancora abbastanza per i mercati, che l’hanno affondato oltre quota 64, con un crollo di quasi il 10% in un solo giorno. La flessione da inizio anno sfiora ormai il 50% (oltre il 40% contro l’euro). Per cercare di far fronte alla débacle, ieri in tarda serata la Banca centrale russa ha alzato i tassi al 17%, con un incremento di 6 punti e mezzo rispetto al precedente 10,5%. «La decisione è stata presa per limitare l’ingente deprezzamento del rublo», si legge nel comunicato della Banca, che aveva già alzato di un punto i tassi giovedì scorso, portandoli appunto al 10,5%. Senza esito.
Da quando il presidente Vladimir Putin ha minacciato il pugno di ferro contro gli speculatori (il 4 dicembre), la moneta russa ha perso oltre il 15%. Ironia della sorte: ora la moneta russa batte perfino quella ucraina e si aggiudica la maglia nera tra le valute mondiali. Il crollo rischia di erodere anche il plebiscitario consenso dello zar del Cremlino. Non è solo una questione di credibilità. Il morso dell’inflazione si sta facendo sentire eccome sui consumatori. L’indice dei prezzi a novembre è salito al 9,1% e secondo la Banca centrale potrebbe raggiungere il 10% questo mese e l’11,5% all’inizio del 2015, contro il target del 4%. Per tenerla sotto controllo, e difendere il cambio, l’istituto ha già alzato i tassi di 500 punti base quest’anno. Stringere ancora i rubinetti non farebbe che aggiungere zavorra a un’economia già in crisi.
Ieri la valuta è sembrata sganciarsi perfino dal petrolio nella sua corsa verso il basso. Se il Brent ha vissuto una giornata di alti e bassi, il rublo non ha fatto che scendere, spinto dalle fragilità della Russia, che ieri sono venute a galla tutte insieme. Tanto per cominciare, la Banca centrale ha dovuto cancellare un’offerta di finanziamento in valuta locale a lungo termine, per un importo di 700 miliardi di rubli a tre anni. Non c’erano soggetti interessati. Al contrario, domanda c’è stata per l’asta in valuta estera: le banche hanno preso in prestito (a un anno) 4,8 miliardi di dollari sui dieci offerti, il mese scorso la domanda non era arrivata nemmeno a 88 milioni. Poi, la stessa Banca centrale ha bloccato la contrattazione di una serie di prodotti derivati sull’indice azionario Rts, denominato in dollari, per evitare possibili «manipolazioni di mercato». L’indice ieri ha chiuso con un calo del 10%, ai minimi da 5 anni. Da inizio anno ha perso il 50%. Il Micex, l’indice della Borsa russa, ha perso invece il 5,3 nello stesso periodo.
Sempre la Banca centrale ha aggiornato le previsioni di crescita dell’economia in caso di petrolio a 60 dollari al barile fino alla fine del 2017: in queste condizioni, l’anno prossimo, il Pil potrebbe subire una contrazione compresa tra il 4,5 e il 4,7%. Pochi giorni fa, il governo aveva stimato una contrazione dello 0,8% con petrolio a 80 dollari e del 3,5-4% con il barile a 60.
La fuga di capitali, accelerata dalla crisi in ucraina e dalle sanzioni varate da Stati Uniti ed Europa, porterà fuori dalla Russia tra i 120 e i 125 miliardi quest’anno e altri 120 l’anno prossimo, avverte la Banca centrale. Seguiranno la stessa strada altri 130 tra il 2016 e il 2017.
A spaventare gli investitori ci si è messo anche il Congresso statunitense, che ha approvato sanzioni più dure contro Mosca e ha autorizzato Washington a fornire aiuti militari a Kiev. E giovedì sarà la Ue a decidere su un altro giro di vite. Le tensioni con la Nato per i continui sconfinamenti di caccia russi (venerdì si è rischiata la collisione con un volo di linea svedese) e i toni roboanti del ministro degli Esteri Sergei Lavrov (che non esclude il dispiegamento di armi nucleari in Crimea), non aiutano. Un altro termometro della febbre dei mercati, il costo per coprire il debito russo dal rischio default, è balzato a 537 punti base, da 169 a inizio anno 7. Significa che per assicurare un investimento da 10 milioni di dollari in bond russi oggi bisogna spendere 537mila dollari, contro i 169mila di gennaio. Erano 488mila venerdì. In base a questo parametro, la Russia si colloca tra i Paesi più rischiosi al mondo.