la Repubblica, 15 dicembre 2014
I cinquant’anni della “Bianca”, la collana Einaudi che ha visto poeti, la storia d’Italia in versi
La collezione di poesia, edita da Einaudi, – e più nota come la Bianca, dall’elegante copertina candida e cifrata di pochi segni neri, opera temporibus illis di Bruno Munari, – compie cinquant’anni. È un evento da segnalare con attenzione e interesse. Insieme con lo Specchio mondadoriano, e altre piccole collane di editori minori, si deve alla Bianca un contributo essenziale a quella che, in altra occasione, ho definito, nel nostro paese, la «resistenza della poesia», – la resistenza, s’intende, alle spinte distruttive del mercato e all’omologazione dei linguaggi. Se poi si entra un poco più nel merito, saltano all’occhio particolari anche più significativi.
Cinquant’anni sono tanti: un intero periodo storico, per non parlare delle vicende strettamente letterarie e ancor più di quelle strettamente poetiche (cinquant’anni fa era ancora in piena fioritura, con Xenia e Satura, l’operosità di un Eugenio Montale). Il frutto dell’impresa einaudiana è testimoniato da ben quattrocentoventicinque titoli, se si calcolano anche le uscite delle ultime settimane (e se io non sbaglio i calcoli), cui corrisponde un numero ovviamente meno elevato ma comunque assai cospicuo di autori. Si tratta dunque di un corpus estremamente esteso, che andrebbe attentamente studiato perché vi si riflettono orientamenti e scelte anche di ordine più generale, editoriali, certo, ma anche culturali e letterarie, intese nel senso più lato.
Vi si alternano poeti e poetesse italiani e stranieri, antichi e moderni, di fama consolidata oppure appena esordienti, occidentali e orientali. Gli ultimi due volumi apparsi danno perfettamente il senso di questa continuità e al tempo stesso varietà e difformità. Sono (anche qui spero di non sbagliare) uno splendido Tutte le poesie di Giovanni Raboni (in due volumi), il più autentico e consolidato, insieme a Zanzotto, tra i poeti italiani del secondo Novecento, e un sorprendente (tanto per segnalare l’antitesi) Addio mio Novecento di Aldo Nove, il quale raggiunge qui senza ombra di dubbio il vertice della sua maturità.
La Bianca, oltre a essere un luogo di registrazione di valori acquisiti, ha sempre promosso le novità in campo poetico, quando, evidentemente, sembrava che ne valesse la pena. Lo strumento editoriale, appositamente pensato a tal fine, si riconosce dal titolo ricorrente: Nuovi poeti italiani. Questa attitudine alla ricerca e alla scoperta si è accentuata da quando ha preso la responsabilità della collana l’einaudiano Mauro Bersani. Segnalo le ultime tre edizioni: quella del 1995 (a cura dello stesso Bersani), quella del 2004 (a cura di Franco Loi, una delle voci più alte, io penso, della poesia italiana attuale, quand’anche espressa in un fantastico, forse più esattamente si dovrebbe dire oggi, immaginario, dialetto milanese) e quella del 2012 (a cura di Giovanni Rosadini, completamente dedicato alle ultime voci femminili della poesia italiana contemporanea). Se si percorresse dall’inizio alla fine, da un volume all’altro di questa serie nella serie, il sentiero privilegiato da essa rappresentato, se ne ricaverebbe il senso del mutamento, oltre che dei valori già acquisiti.
In altri momenti, nella Bianca, il rapporto fra creazione poetica (l’espressione è antiquata, lo so, anzi antica, ma ora non me ne viene in mente un’altra) e riflessione sulla poesia si fa anche più stringente e vincolante. Ad esempio. Della Bianca, negli ultimi anni, è stata senza dubbio espressione tipica un poeta come Enrico Testa, autore (anche qui se non erro), nella Collezione di poesia, di quattro titoli come In controtempo (1994), La sostituzione ( 2001), Pasqua di neve (2008) e Ablativo (2013), contraddistinto dalla scelta di un linguaggio sobrio, anzi essenziale, in cui limpidamente si riflette la nostra difficoltà di dire qualcosa di “puro” e di “vero” al di là dei limiti del “linguaggio comune”, quello nel quale quotidianamente affondiamo (e spesso affoghiamo), sia che si parli di politica o di costume, sia che ci si scambi qualche faticoso messaggio personale, di consolazione o di speranza. Ebbene, al medesimo Testa, – il quale appartiene ovviamente alla specie non piccola dei poeti colti, anzi coltissimi, che sanno quel che fanno e, scrivendo di poesia o ragionandone, riescono a dirlo, – va ricondotta la curatela di un’eccellente antologia (quasi un manifesto) di poesia con- temporanea, – antologia che s’intitola Dopo la lirica ( sottotitolo: Poeti italiani 1960 2-000) (2005), la quale si apre con Vittorio Sereni, Giorgio Caproni e Mario Luzi, e si chiude, quarant’anni dopo, con Gabriele Frasca, Fabio Pusterla e, molto giustamente, Antonella Anedda.
In occasione dei cinquantesimo compleanno la Bianca, per omaggiarsi, ha pubblicato un volumetto intitolato, appunto, 5-0 anni di Bianca : lo costituiscono le poesia inedite di quarantotto autori già pubblicati nei volumi precedenti, più le due di autori in via di pubblicazione (Francesco Scarabicchi, Andrea De Alberti). Vi si ritrovano, – non vorrei far torto a qualcuno, ma solo per esemplificare, – poeti e poetesse come Salestrini, Cavalli, Dapunt, De Angelis, D’Elia, Fois, Leonetti, Loi, Magrelli, Marcoaldi, Mari, Nove, Pennati, Piersanti, Rosadini, Ruffilli, Scarpa, Testa, Valduga, Villa, Viviani.
A leggerli l’uno dietro l’altro nell’ordine di comparsa nella Bianca, il caleidoscopio si arricchirebbe fino a diventare una sorta di panglottismo poetico italiano contemporaneo. Le voci sono molte, e anche molto diverse fra loro, ma le accomuna prodigiosamente (credo) la persuasione che con la lingua che si possiede (quella veteroitaliana ancora, almeno per ora), si può andare al di là delle apparenze e scendere in profondità. Basterebbe questo per fare della Bianca un pezzo non irrilevante del nostro esserci e, soprattutto, del nostro sapere di esserci.