la Repubblica, 15 dicembre 2014
Ginosa, l’unica chance di rivivere la sorella di Matera è trasformare la Gravina e la Città Vecchia in un luna park dei prodotti tipici per far scarrazzare per un paio d’ore pomeridiane, o quando piove, i bagnanti che d’estate affollano le spiagge di Ginosa Marina
«Dovete riaprire quella strada», sussurra Carmelo: le lacrime agli occhi, su una faccia che sembra il ritratto della dignità. Da quando è nato vive accanto alla bella Chiesa Madre di Ginosa, di cui è sacrestano, custode, anima. Senza l’acqua corrente, come generazioni innumerevoli di suoi avi: in una casa che non ha voluto lasciare nemmeno dopo che la frana del dicembre 2013 ha diviso in due il centro storico, subito evacuato e ora deserto, ridotto ad una struggente quinta di cartone percorsa da cani indolenti. Prima della frana c’era stata l’alluvione, che nell’ottobre aveva di colpo riportato a torrente la gravina (cioè la lunga gola) su cui sorge Ginosa, spazzando via non solo quattro vite umane, ma anche la possibilità stessa di un futuro che non sia sradicato da queste case antiche, che continuano le grotte con altri mezzi.
Perla delle Murge, ultimo centro della Puglia di Taranto, Ginosa è come una sorella minore di Matera: che è vicinissima, a venti minuti di macchina. Una sorella ancor più povera e remissiva: quando, nel 1964, Pier Paolo Pasolini volle avverare con la dinamite il terremoto che accompagna la morte di Gesù nel Vangelo secondo Matteo, lasciò il set di Matera e venne qua a far brillare due case antiche, che ancora giacciono in rovina, come un monito.
Nel giugno scorso i ginosini sono dovuti salire fino a Roma, per farsi sentire. Guidati dal sindaco Vito De Palma, andavano a protestare perché l’ordinanza che stanziava nove milioni di euro per rimettere in sesto la loro città si era persa in un cassetto della Presidenza del Consiglio. Con mezza Ginosa in casa, il governoanti- burocrazia riuscì a trovare il cassetto, e ad approvare e firmare seduta stante quella cartuccella: salvo che ad oggi, sei mesi dopo, i soldi non sono stati ancora accreditati. Che ci sia bisogno di uno Sblocca Palazzo Chigi?
Ma non è solo questione di soldi: è questione di visione, di coraggio, di fantasia. La storia di Ginosa è quella di Matera: gli abitanti hanno progressivamente disertato i Sassi, cioè le grotte scavate nelle pareti della gravina, le chiese rupestri, le case medioevali che le circondano. E ora che la frana ha accelerato anche l’abbandono della città rinascimentale, il rischio concreto è che la Ginosa del presente e quella del futuro siano solo la nuova città di cemento. Più not town che new town, come sempre.
E ci sono due modi radicalmente diversi, per fare morire la Ginosa vera. Il primo è quello che – a vederla oggi – sembra già irreversibilmente imboccato: quello, drammatico e cruento, dell’abbandono materiale, dei crolli a ripetizione, della distruzione fisica. Il secondo è quello che si affaccia quando parli col sindaco: che in perfetta buona fede ti dice che, siccome per lui è ovvio che lì nessuno ci tornerebbe mai a vivere, l’unica chance è quella di trasformare la Gravina e la Città Vecchia in un luna park dei prodotti tipici, sul modello Alberobello o San Gimignano. Gliel’ha consigliato anche l’università, ti dice: bisogna fare di Ginosa un posto dove scarrozzare per un paio d’ore pomeridiane, o quando piove, i bagnanti che d’estate affollano le spiagge di Ginosa Marina.
Ma proprio il modello Matera – un modello vincente, non velleitario – sta lì a gridare che esiste un’altra strada: come alcuni dei ginosini più giovani e consapevoli hanno compreso. L’antica Ginosa avrà un futuro solo se torneranno a viverci delle giovani coppie, sostenute da una vera politica di incentivi, almeno in parte finanziabile dall’Unione Europea anche in occasione del ruolo di Capitale europea della Cultura che Matera avrà nel 2019. La ripopolazione e un forte progetto culturale di ambizione internazionale sono l’unica vera strada per evitare sia la cancellazione fisica che l’imbalsamazione commerciale. Una strada graduale e paziente, che punti sull’integrità del territorio e sulla cittadinanza culturale per costruire un futuro sostenibile: esattamente il contrario del sogno di arricchimento veloce e distruttivo che viene ora alimentato dal miraggio del petrolio lucano. Un miraggio che rischia di aprire una nuova, truculenta stagione di “mani sul territorio” al grido di “trivella libera”.
Secondo Frontino, Ginosa trae il suo nome da Giano: il dio bifronte che al tempo stesso guarda avanti e guarda indietro. Oggi Ginosa deve usarle tutte e due, queste facce, o rischia di perdere insieme il passato e il futuro: un po’ come l’Italia.