Affari & Finanza, 15 dicembre 2014
Frédéric Mazzella, ovvero mr Blablacar: «Così ho riempito con milioni di persone le macchine d’Europa». Il successo del sito di Ride Sharing cha aiuta a trovare un passaggio o qualcuno con cui dividere le spese
Qualche mese fa ha ricevuto una telefonata da François Hollande. «Non voleva chiedermi un passaggio», scherza Frédéric Mazzella, seduto nella lounge della fiera LeWeb, uno degli eventi dedicati al digitale più influenti d’Europa che ha riunito per tre giorni oltre 3.500 imprenditori, esperti, investitori. Il capo dello Stato voleva invece congratularsi per la crescita della società di Mazzella, fondatore e Ceo di Blablacar, leader nel ride sharing, la condivisione di viaggi in automobile. Non capita tutti i giorni alla Francia depressa e in crisi di potersi inorgoglire per una start-up che in pochi anni si è sviluppata in tredici paesi, Italia compresa, con una comunità di oltre 10 milioni di utenti.
Il bisnonno di Mazzella era di Ischia. «Purtroppo non ci sono mai andato. Però ho guardato l’isola con Google Maps». L’imprenditore francese, 38 anni, si sente un po’ italiano perché è un chiacchierone – da cui il nome della società – e ama la pasta. Ha passato tre anni nella Silicon Valley, lavorando alla Nasa e prendendo il master di informatica a Stanford. Poi ha deciso di tornare in Francia «per ragioni personali». Ma non è pentito. Il cosiddetto french bashing, “dagli al francese”, in voga nei paesi anglosassoni, è un semplice difetto di comunicazione. «In alcuni settori la Francia non riesce a valorizzare le proprie potenzialità». Sulla creazione d’impresa, ad esempio, resiste il cliché che sia un paese ostile, burocratico, senza speranza. Mazzella è la prova del contrario. «Ci sono molti incentivi e sostegni poco noti all’estero che danno un vero impulso a chi vuole creare una nuova azienda».
Un altro cliché è l’overdose di tasse e balzelli. Recentemente Xavier Niel, patron di Free, ha smentito il luogo comune, definendo addirittura la Francia un “paradiso fiscale”. «Anche se paghiamo un po’ più tasse che altrove – spiega Mazzella – abbiamo un paese con infrastrutture e trasporti che funzionano, un livello di educazione molto alto. Un contesto che favorisce l’impresa». Per l’economia digitale, dice il presidente di Blablacar, l’Europa ha addirittura dei vantaggi rispetto alla Silicon Valley. «A parità di competenze, il reclutamento di risorse umane è più semplice e a buon mercato». Per un’azienda con tassi di crescita del 200% di anno in anno, la disponibilità di talenti sul mercato è un punto a favore. Poi, spiega l’imprenditore, le società europee sono predisposte alla sharing economy anche per via di un potere d’acquisto debole in alcuni settori. «Prendiamo i costi automobilistici: tra benzina e pedaggi, 1 chilometro negli Usa costa tre volte meno che 1 chilometro in Europa».
Un tempo era l’autostop, ora si chiama “ride sharing”. Non serve alzare il pollice, basta un clic. Perché solo ora tanti automobilisti si sono convertiti? «Perché ci sono i mezzi tecnologici per farlo». Non lasciare mezza vuota la propria auto è una scelta di buon senso, che sta al passo di un mondo connesso, tra smartphone e Gps. «Se nel 1908 insieme alla prima macchina Ford fosse nato anche Internet – osserva Mazzella – sono sicuro che già allora ci sarebbe stato il ride sharing». I prezzi di un viaggio sulle tratte più lunghe, come Roma-Milano, costano intorno ai 30 euro, e sono inferiori fino al 75% rispetto a treno e aereo, soprattutto in periodi di punta.
È proprio durante le feste di Natale, dieci anni fa, che Mazzella ha avuto l’ispirazione. Doveva andare a trovare i parenti in Vandea ma i treni da Parigi erano pieni o carissimi. Alla fine, la sorella che stava a Rouen è passata dalla capitale per prenderlo e continuare il viaggio insieme. In autostrada, Mazzella ha visto centinaia di automobilisti che guidavano da soli, senza altri passeggeri. Il segreto, ha pensato, sarebbe rendere disponibili tutti questi posti liberi. All’inizio era un semplice sito, Covoiturage.fr, lanciato nel 2004. Cinque anni dopo il sito raccoglie 100mila euro per allargarsi. Nel 2010 ottiene 1,2 milioni da un fondo d’investimento francese. Cambia nome, diventa a pagamento. Nel 2012 incassa altri 7,5 milioni da Accel Partners, il fondo che ha lanciato Groupon e Spotify, per internazionalizzare la piattaforma. Blablacar apre in Spagna, Italia (ricomprando anche postoinauto.it), Germania, Regno Unito, Polonia. Ed ecco che quest’estate è stato chiuso un fund raising pari a 100 milioni di dollari con un obiettivo: far diventare la società ancora più globale.
L’autostop 2.0 è diventato di moda e non fa più paura. Ogni mese 2 milioni di persone viaggiano in Europa attraverso Blablacar che preleva una commissione del 10% su ogni passaggio. Una concorrenza ai mezzi di trasporto più tradizionali, tanto che le Ferrovie francesi sono dovute correre ai ripari, lanciando un servizio simile. «Uno degli elementi più importanti per noi – spiega Mazzella – è aver saputo costruire un rapporto di fiducia». Blablacar verifica i dati (numeri di telefono, documenti, conto in banca) e attraverso i pareri degli altri utenti sorveglia la reputazione di ogni iscritto. Nella scheda è anche specificato il grado di loquacità di passeggero e guidatore, da un minimo di “Bla” a un massimo di “Blablabla”. Si può scegliere il tipo di automobile, includere o escludere passeggeri fumatori, viaggiare tra sole donne. L’aspetto “social” è una delle molle, insieme al vantaggio economico e alla riduzione dell’impatto ecologico: quattro persone che viaggiano insieme tra Milano e Roma hanno un bilancio ambientale di 173 kg di Co2 rispetto ai 692 kg di un guidatore solo. È paradossale che molte nuove start-up francesi di successo – da Vente Privée a Drivy – arrivino proprio nel periodo di maggior crisi economica. «È il momento in cui la gente è disposta a pensare diversamente. L’innovazione rallenta nei periodi di benessere». Mazzella è convinto che andiamo verso un nuovo modello economico. Forse il capitalismo non è morto come sostiene Jeremy Rifkin ma la sharing economy ha davanti a sé un radioso futuro. Blablacar non ha problemi di nuova regolamentazione come Uber perché mette in contatto privati per dividere dei costi e non c’è alcuna vendita di prestazione. «L’innovazione è spesso in anticipo sulla legge», commenta Mazzella, che spiega come anche a livello finanziario le regole vadano ripensate. «All’inizio era difficile spiegare a eventuali investitori il pricing del nostro servizio». Nel caso della piattaforma Blablacar, come di altri attori della sharing economy, il costo marginale si avvicina allo zero. Con l’aumento dei volumi, ci sono piccoli costi, dall’invio di sms alle transazioni bancarie, ma niente a che vedere con gli schemi economici di attività del passato. «In realtà, il grosso dei nostri costi è sulla ricerca e sviluppo».
Ora Mazzella punta al Brasile e all’India, convinto che non ci siano frontiere per il suo autostop 2.0. Lui d’altra parte è l’utente tipo: non possiede un’automobile, si muove solo su mezzi degli altri. E sul futuro della società non vuole fare previsioni. Dalla quotazione in Borsa alla vendita a un operatore del turismo: tutto è possibile. «Davvero non lo so. Intanto mi concentro sulla gestione della crescita internazionale del nostro servizio». Il presidente di Blablacar è anche considerato una sorta di guru della “mobilità sostenibile”, interrogato per capire come si muoveranno le persone tra venti o quarant’anni. Ma lui non pensa a diversificare le sue attività. «È come chiedere a Rafael Nadal di giocare a badmington».