la Repubblica, 15 dicembre 2014
La Polonia ha paura della Russia. Viaggio in un Paese schiacciato tra la speranza europea e l’arroganza di Putin
Osserva uno psicologo polacco che nelle sbronze di gruppo capita ai suoi connazionali di intonare vecchie canzoni russe. Mai tedesche. I fumi della vodka annebbiano il presente, possono malmenare il corso della storia. Sollecitano sentimenti tormentati, profondi, dimenticati, ripudiati, morti o in letargo. È un semplice appunto. Serve soltanto a sottolineare come un romantico rigurgito panslavo, sia pure in condizioni particolari e con innocenti richiami culturali o popolari, oggi non sarebbe esprimibile a mente lucida. Senza lo schermo dell’alcol. Suonerebbe un insulto per la sponda tedesca adesso amica e protettrice. Apparirebbe una provocazione. Per gli estremisti addirittura un tradimento.
L’anno prossimo si voterà per il presidente e per il Parlamento e si può essere certi che durante la campagna elettorale nessuno si azzarderà a tenere propositi favorevoli alla Russia, in armonia con i cori sentimentali che si cantano con candore, senza impegno, nelle sere di bisboccia. «È diverso se sei a Madrid. Lì uno se ne può infischiare. Ma se sei a Varsavia vicino alle armi nucleari di Kaliningrad ti viene qualche cattivo pensiero», dicono amici polacchi ritrovati. Lo dice anche Marcin Zaborowski, direttore dell’Istituto di Affari internazionali. «Soprattutto se hai un testo di storia sottomano». In realtà più che risvegliare qualche cattivo pensiero la questione russa è onnipresente a Varsavia.
Da quando vi regna Vladimir Putin la “terza Roma”, cioè Mosca, è vista come una minaccia, che ricorda avvenimenti ripetutisi nei secoli. Chi arriva dall’altra Europa, quella occidentale, non ignora che è in corso un conflitto. Ma un conflitto strano di cui non senti il rumore delle bombe e con morti (in Ucraina) di cui si parla poco. Non c’è un conflitto del genere negli annali del continente. Da qui la difficoltà nel percepirne l’intensità e le conseguenze. Si pensava, dopo l’89, anno in cui crollò il Muro, che la Storia fosse finta. È invece viva ed enigmatica. L’occidentale impigliato in una crisi economica e finanziaria senza fine qui trova un paese per ora in straordinaria espansione, dovuta in egual misura alle proprie virtù e all’appartenenza all’Unione. L’Unione europea da noi considerata non di rado un errore è invece in Polonia una grande opportunità. Il timore qui è un altro. A tratti sconfina in angoscia.
A crearla è appunto l’agitazione della vicina Russia. Della quale si scrutano con apprensione le mosse tese a ricostruire un impero. Un impero senza l’impronta sovietica ben inteso, ma con ambiziose dimensioni euroasiatiche. I sintomi allarmanti ci sono: il recupero della Crimea, la guerra civile a singhiozzo nelle province orientali dell’indisciplinata Ucraina, virtuale componente principale della sognata Unione euroasiatica che sfugge alle brame di Putin. Senza contare i temuti sgarbi alle vulnerabili repubbliche baltiche.
La natura del conflitto, poiché di conflitto si tratta, non ha precedenti, almeno fino a questo punto. Da un lato, sul fronte russo, prevale l’uso o l’esibizione della forza militare, vale a dire l’hard power, per persuadere, attrarre o cooptare. Mentre dall’altro lato, sul fronte occidentale, per dissuadere si impiega il soft power, basato essenzialmente sulle sanzioni economiche, culturali, politiche e diplomatiche. Questo conflitto asimmetrico in corso, non del tutto assente ma lontano dai pensieri occidentali, è ben visibile nei paesi di prima linea, vicini alla Russia. La quale dispone di una forza militare ridimensionata con la fine dell’Urss ma che resta la sola vera potenza in un continente praticamente disarmato. A Ovest esistono potenze medie, nucleari, come la Gran Bretagna e la Francia, ma è storicamente rilevante che la Germania rifiuti di ricalcare in una versione contemporanea il vecchio modello di stampo prussiano (cioè prenazista), e preferisca invece quello svizzero, sia pure al quadrato, armato di banche e di industrie.
L’avventato ex ministro degli Esteri, Radoslaw Sikorski, ha rivelato l’atmosfera di oggi in Polonia lasciandosi sfuggire in un momento critico dei rapporti con la Russia, che per lui «l’impotenza tedesca era più temibile della potenza tedesca». Noi che vediamo la Germania un po’ svizzera come il positivo segno di un’Europa pacifica possiamo essere sconcertati. È vero, c’è la Nato, in cui la superpotenza americana è dominante, e il cui impegno è di intervenire nel caso un suo membro sia minacciato. Ma i russi agiscono, nonostante i buoni propositi espressi all’ultimo vertice Nato, nel Galles, come se il famoso articolo 5 sull’intervento automatico sia piuttosto da leggere al condizionale. Ed agiscono di conseguenza. Ma questo fa parte dell’enigma, perché nessuno sa come si svolgerà nel prossimo futuro il conflitto combattuto con armi disuguali.
Il sentimento anti-russo non è cosi compatto nella Polonia inquieta. Nessuno ha fiducia in Putin. Ma alcuni pensano che la sua agitazione nazionalista abbia come obiettivo di ristabilire l’influenza russa. Vale a dire che l’ hard power, la maniera forte, comunque provocatrice, gli serva a creare le condizioni necessarie per poter esercitare a sua volta un soft power imperiale. L’equazione è tortuosa ma verosimile. I dubbi a Varsavia sono comunque tanti. Se a destra c’è un partito, “Legge e giustizia”, che non tempera il linguaggio, ed esprime apertamente umori russofobi, nelle altre formazioni politiche non mancano le sfumature. Le opinioni sono trasversali a destra e a sinistra. Tra i consiglieri del presidente della Repubblica, Bronislaw Komorowski, non si esita a definire miope l’atteggiamento europeo in alcuni momenti critici della crisi ucraina. Ha preoccupato Varsavia la reticenza di alcune grandi industrie europee ad adottare le sanzioni nei confronti di Mosca nel timore di irritare la Russia produttrice di materie prime, in particolare di gas. Né lasciano indifferenti il finanziamento russo dei partiti di estrema destra in Francia e in Italia (il Front National e la Lega), e l’affiorare nelle società politiche occidentali, moderate o di sinistra, di correnti trasversali più o meno filo russe. E tuttavia anche qui non mancano gli inviti alla prudenza, a non compromettere troppo i rapporti con Mosca. Non pochi sono convinti che le sanzioni, già pesanti per l’economia russa in generale, e per gli stessi singoli cittadini, finiranno con l’avere un impatto politico. Gli oligarchi, feriti nei loro interessi, potrebbero un giorno reagire. E i boiardi in rivolta minaccerebbero allora lo stesso Putin. Sarebbe la soluzione ideale. Il conflitto tra soft e hard power si risolverebbe con il successo del primo. Sfrattato l’attuale ospite del Cremlino si potrebbe sperare in una Russia riformata. Pacifica. Si potrebbero allora cantare le sue canzoni anche senza la vodka. Puntano su questa soluzione non pochi politologi che hanno gli occhi fissi su Mosca. Tra questi Adam Michnik, gagliardo combattente democratico, nei periodi eroici della rivolta polacca, e fondatore di Gazeta Wyborcza. Forse è un’illusione. Ci vorrà comunque del tempo. Per ora prevale il nazionalismo e quindi la posizione di Putin appare rafforzata al Cremlino.
La nomina di Donald Tusk a presidente del Consiglio europeo, al posto di Herman Van Rompuy, non ha certamente rassicurato Vladimir Putin. Primo ministro polacco di centro destra per sei anni, dal 2007 in poi, Tusk ha governato il suo paese in un periodo di grande espansione economica. Mentre il resto del- conosceva tempi difficili, la Polonia ha avuto una crescita di più del 20 per cento, grazie anche alla stabilità politica, all’uso intelligente dei fondi europei e al basso costo della mano d’opera. La nomina di Tusk a Bruxelles appare quasi una premiazione, non solo al personaggio (nato a Danzica 57 anni fa), ma anche al suo paese. È tuttavia assai improbabile che il personaggio, dotato di carisma, consideri il nuovo incarico una semplice onorificenza. Egli rappresenterà con decisione le preoccupazioni dei paesi dell’Europa orientale e centrale che vivono con apprensione l’ambizione russa, e dubitano della solidarietà del resto dell’Unione. Nei momenti più critici della crisi ucraina Tusk ha manifestato una fermezza non priva di tatto. È stato descritto come un antirusso razionale. Federica Mogherini, alta rappresentante per la politica estera, non avrà un interlocutore facile. Tusk vede l’Unione come una barriera ai nazionalismi, compreso quello di Mosca. In sostanza sarà a Bruxelles il rappresentante di un’Europa che vive con intensità un conflitto non proprio ignorato ma trascurato dall’altra Europa, quella occidentale. È l’uomo della Polonia che ha deciso di investire 30 miliardi di dollari in armi nei prossimi otto anni, fino al 2022.